Henrik Ibsen non fu solo il maggior letterato norvegese, come si sa, ma anche come uno dei più importanti drammaturghi dell'intero Ottocento europeo. Se nella prima fase creativa adeguandosi all'imperante spirito romantico dell'epoca scelse temi legati al passato storico o ai miti della Scandinavia, nella maturità passò a lavori in cui si definiva meglio il carattere dei suoi personaggi approfondendone l'introspezione psicologica, raggiungendo esiti notevoli in drammi quali Cesare e Galileo (1864-1873) e Brand (1866), divenuti presto popolari. Pur essendo apprezzato in patria per i molti lavori man mano pubblicati e per l'importante incarico di direttore per oltre un decennio del Norske Theater di Bergen (del quale era stato in precedenza maestro di scena), Ibsen conquistò una notorietà europea solo durante il trentennale volontario esilio a Dresda durato dal 1868 al 1895, e dopo un lungo periodo di relativo silenzio creativo. In pochi anni, a partire dal 1879 in poi, apparvero una serie di suoi stupendi lavori teatrali legati a quel nuovo spirito positivistico e realistico che percorreva buona parte della letteratura europea, che ne fecero uno dei padri della drammaturgia moderna. Titoli diversi per approccio ai personaggi ed alle vicende narrate, ma aventi tutti in comune una severa analisi dei vizi e delle contraddizioni della borghesia moderna, tutti di altissima qualità, e divenuti in breve veri capisaldi del repertorio drammaturgico internazionale: Casa di bambola (1879), Spettri (1881), L'anitra selvatica (1884), La donna del mare (1888), Edda Gabler (1890) ed infine Il costruttore Solness (1892).
Durante un viaggio attraverso l'Italia, a cavallo tra il 1866 ed il 1867, Ibsen si era cimentato in una via di mezzo tra un poemetto ed un dramma in versi, scrivendo un testo pieno di spunti popolari e di bizzarrie fantastiche. Soggetto e svolgimento del suo Peer Gynt conquistarono subito molti lettori: commedia d'avventure agra, ironica e sarcastica, nella quale il protagonista - personaggio a metà strada tra Till Eulenspiegel e Sinbad il marinaio - ci viene disegnato come un antieroe, picaresco e un po' irresponsabile, dedito a girovagare per il mondo incontrando strani personaggi e scegliendosi luoghi e ruoli sempre diversi: dalla montagna del Re dei Troll al Reame del Marocco, dal deserto del Sahara ai ricchi palazzi del Cairo. In un metaforico viaggio attraverso la natura umana, Peer cade e risorge più volte, sino a tornare vecchio, stanco e deluso a casa, dove trova la fedele Solvejg ancora ad attenderlo: sarà infine il suo inalterato amore a dare un senso alle ultime giornate della sua vita.
Pubblicato a Copenaghen nel 1867, Peer Gynt ebbe una rapida diffusione nelle librerie, ma ci si avvide subito che - in quanto opera non ideata appositamente per le scene - una sua ipotetica rappresentazione avrebbe comportato non pochi problemi; Ibsen si decise a questo passo solo più tardi, cercando di adattare quanto meglio possibile il testo allo scopo. Per assistere alla sua prima rappresentazione si dovette attendere però sino al 1876, allorquando il nuovo Peer Gynt approdò sul boccascena del Teatro Nazionale di Christiania - dal 1925 l'attuale Oslo. In precedenza lo scrittore aveva chiesto al connazionale Edvard Grieg di comporre delle musiche di scena, ritenendole indispensabili per dare senso compiuto ai suoi versi. Non a caso, girò a Grieg ben la metà del compenso pattuito con il teatro, concedendogli per di più massima libertà di scegliere lo stile dei singoli pezzi ed i momenti dell'azione dove inserirli. Ne risultò un complesso di 26 brevi composizioni di diverso carattere e di varia struttura, felicissime nell'invenzione melodica e nelle scelte strumentali. Brani di forte spessore emotivo e dall'intento descrittivo - senza per questo cadere mai nel facile bozzettismo - che vanno progredendo dal «Preludio» orchestrale del primo atto sino alla «Ninna -Nanna di Solvejg», una sorta di melologo/aria per voce ed orchestra sulla quale il sipario si chiude sulla raggiunta serenità del protagonista . E' curioso constatare come il compositore di Bergen avesse accettato di malavoglia, solo perché pressato dal bisogno di denaro; lamentandosi più volte, nei due anni di stesura della partitura, della difficoltà di venire a capo di un testo così fantastico e variegato. Eppure anche grazie a queste sue musiche il Peer Gynt riscosse il 24 febbraio 1876 un successo travolgente, tanto da essere riallestito più volte. Fu in occasione di due di queste riprese che dalla partitura generale - pubblicata come opera 23 - Grieg trasse poi due accattivanti suite orchestrali (e due corrispondenti trascrizioni per piano a 4 mani) ciascuna composta di quattro brani ( l'op. 46 edita nel 1888 e l'op. 55 nel 1891) - la cui fortuna nelle sale da concerto e sui solchi discografici non ha sinora mai conosciuto declino.
Portare in scena Peer Gynt nella sua integralità oggi come ieri appare impresa molto ardua (non a caso, la 'prima' del 1876 ebbe un costo enorme) soprattutto per la lunghezza del dramma e la pletora di personaggi, circa una quarantina in tutto. Se ne sono quindi tentati nel tempo vari adattamenti, come questo che Pier Paolo Pacini ha ideato qualche anno fa per il Maggio Musicale Fiorentino, firmandone regia, scene, luci e costumi. Portatolo al Verdi di Trieste nel 2008 - dove l'abbiamo visto per la prima volta - ed ora al Teatro Filarmonico di Verona, Pacini ne ha saputo affinare man mano il carattere di intensa sobrietà e la capacità di sintesi ammirevole. Musicalmente, pressoché nulla viene sacrificato nelle sue scelte (23 su 26 i brani di Grieg presenti); teatralmente parlando, nella sua riscrittura questo suo Peer Gynt dimostra d'essere un meccanismo scorrevole, che regge benissimo la scena anche se i personaggi sono sfoltiti sino ad essere solamente tre. Cioè il protagonista, affidato al bravissimo e funambolico Daniel Dwerryhouse (attore toscano di Prato, a dispetto del nome), a Roberto Giuffrè (un Mago polimorfo che assume con abilità le sembianze dei personaggi incontrati, dal Re della Montagna al Fonditore di bottoni) ed infine alla bionda ed eterea Teresa Fallai, chiamata al duplice ruolo della tenera madre Aaase e di Solvejg, la fanciulla che attende fiduciosa il suo ritorno. Una scelta voluta, per sottolineare la specularità delle due uniche donne veramente legate a Peer, amandolo per quello che è, non per quello che vorrebbe apparire. La voce sopranile era quella della brava Elena Monti, presente in scena come 'doppio' della Fallai; e non vi è dubbio che abbia espresso a perfezione il clima emotivo della «Canzone» e della «Ninna-Nanna» di Solvejg. Sulla scena poche cose: un tendone mobile, una enorme poltrona, un orologio a scandire il tempo che passa, un baule dal quale gli attori traggono man mano oggetti d'ogni sorta. Fondamentale poi l'apporto del sapiente uso delle luci, chiamate a conferire ad ogni scena la pertinente atmosfera.
Resta di riferire dell'appropriata concertazione di Peter Tiboris: meticolosa e calibrata nella cura strumentale, portava con sé una scelta di tempi un po' dilatati per sottolineare l'inquietante, spettrale dolcezza di certe pagine, e il sapore grottesco e demoniaco di altre. Anche per questo direttore greco-americano, insomma, il mondo della fantasia e della poesia sembra fatto di luci ed ombre che si alternano senza sosta, sino a lasciare in noi un senso di sottile angoscia. Un plauso va anche all'orchestra della Fondazione Arena, che l'ha accompagnato con molta bravura in questa sua bella esplorazione musicale. Spiace tuttavia constatare che un'occasione così ghiotta sia stata alquanto trascurata dal pubblico veronese, almeno alla 'prima' cui abbiamo assistito: moltissimi erano infatti i posti rimasti desolatamente vuoti nella sala del Filarmonico.
Lirica
PEER GYNT
Il vuoto di Peer Gynt
Visto il
al
Filarmonico
di Verona
(VR)