Ci pensa Leo Gullotta a contagiare il pubblico dell'umorismo pirandelliano, a illuminare la scena di "Pensaci, Giacomino", questa progettazione teatrale del regista Fabio Grossi.
Ci pensa Leo Gullotta: a contagiare il pubblico dell'umorismo pirandelliano, a contestare uno stato patrigno, a denunciare una scuola conformista e inadeguata, a biasimare una chiesa bacchettona, a condannare la famiglia disumana, a “smascherare” la “forma” spietata. Ci pensa Leo Gullotta a illuminare la scena di Pensaci, Giacomino, questa progettazione teatrale del regista Fabio Grossi.
La ribellione della Vita
Pensaci, Giacomino è una delle commedie della ribellione, dell'umorismo, della famiglia. E' una delle commedie del varco pirandelliano fra il primo teatro siciliano e la rappresentazione umoristica e grottesca, fra l'accettazione della maschera e la ribellione anticonformista. Ed è proprio una rivolta comportamentale quella del professore Toti, anziano insegnante, senza famiglia per colpa di una professione sottopagata e screditata. La vendetta del docente è quella del contrappasso economico nei confronti dello stato: sposarsi per far pagare al governo la pensione alla sua vedova: più è giovane la futura moglie più alta sarà la sottrazione. Lillina (la brava Federica Bern), la figlia dei bidelli dell'istituto, non rifiuta la stramba proposta del professore, ma non per il risvolto economico che aveva convinto i genitori. Lillina è incinta e il bambino che aspetta è figlio di Giacomino Delisi, ex studente del professore Toti. La rivincita nei confronti dello stato avaro diventa opera di grande carità, di vero sentimento, di amore disinteressato, di encomiabile bontà.
La denigrazione buonista è opera antica
Fabio Grossi, nella sua lettura drammaturgica, sposta in avanti l'ambientazione cronologica portandola nel secondo dopoguerra, in quegli anni cinquanta simboleggiati della scenografia espressionista, dalle gigantesche maschere che si muovono nella scena e, soprattutto, da un espressionismo teatrale che offre allo spettatore interpretazioni spinte in un marcato simbolismo, in una forse eccessiva caratterizzazione che qualche volta fa tracimare l'umorismo in comicità.
Il professore Toti dovrà difendersi da accuse ridicole, da persone ridicole. La sorella di Giacomino, padre Landolina, gli stessi genitori di Lillina aggrediscono il professore, reo di accettare in casa pure Giacomino, il padre naturale del neonato. L'anziano e paterno marito è reo di vivere un ménage al di fuori di ogni regola perbenista. E nulla conta se un bambino ha un cognome, vive felice circondato da affetto e balocchi; nulla conta se una ragazza ha ottenuto tranquillità e benessere invece della spietata infamia; nulla conta se un padre può stare vicino alla donna che ama e a suo figlio. Lo stesso Giacomino, innamorato o spinto fra le braccia di un'altra donna, rinfaccia al professore la sua bontà lesiva: delle istituzioni, della religione, della famiglia autentica. E la bontà diventa buonismo dannoso.
Il faro Gullotta illumina l'opera pirandelliana
Fabio Grossi riduce i tre atti originali in circa ottanta minuti di spettacolo agile, dinamico e vitale. Evitando corpose mutilazioni del testo, interviene invece in uno snellimento dei monologhi ed elude qualche iterazione drammaturgica. Non ci convince completamente un certo ammiccamento al teatro dell'assurdo, a certi simbolismi recitativi; non ci soddisfano appieno alcune interpretazione, ma poi... poi c'è Leo Gullotta.
E' lui che resta fedelissimo all'umorismo pirandelliano, è lui che elargisce l'anima al sentimento del contrario, è lui a contrassegnare la scena di realtà, è lui la vita sopra la maschera, è lui il faro della generazione futura. Sarà il professore Tosi a spingere Giacomino alla scelta. Scelta di bontà, scelta d'amore. Ed è sempre Leo Gullotta a fine spettacolo a dare la stura all'ovazione finale del pubblico, è lui che da più di quarantacinque anni dialoga con il drammaturgo di Agrigento. Ancora una volta, ancora grande e con ampio consenso.