Lirica
PETER GRIMES

L'ESCLUSO

L'ESCLUSO

Sebbene il soggetto di Peter Grimes sia stato tratto dal poema di George Crabbe intitolato The Borough e nonostante molti dei personaggi originali siano riscontrabili anche nel libretto di Slater, l’opera musicata da Britten si distingue notevolmente dal modello sul piano dell’approfondimento psicologico dei personaggi. Essa, infatti, non rappresenta solo un perfetto spaccato di vita inglese, ma diviene piuttosto una riflessione lucida, cruda sull’eterno scontro del singolo con una società che, da un lato, preclude ogni possibile affermazione individuale al di fuori di schemi precostituiti e, dall’altro, esprime giudizi rigorosi, escludendo dal gruppo chi, nel bene o nel male, tende a diversificarsi dalla massa. Più che la vicenda nel suo complesso è proprio la musica di Britten a darci questa chiave di lettura, a conferire nobiltà alla figura, pur controversa e discutibile, del protagonista al quale sono assegnate pagine ricche di afflato lirico che sembrano opporre lui, solo col suo dolore, al chiacchiericcio malevolo degli abitanti del borgo.

La regia di Richard Jones (che avevamo già ammirato nell'eccellente Ledi Makbet di Shostakovich) fonde alla perfezione il dramma nella musica, esaltandone le caratteristiche corali per far emergere l'esclusione del protagonista ma senza tralasciare tutti gli altri, enucleati ciascuno nella propria individualità e personalità. Sicuramente contribuiscono al risultato dello splendido spettacolo la bravura vocale e attoriale degli interpreti, lo stato di grazia di coro e orchestra e il perfetto apparato scenotecnico.

Le scene e i costumi di Stewart Laing proiettano l’azione negli anni ’80 del Novecento: siamo in un borgo modesto ove i gabbiani la fanno da padrone e nel quale il mare, seppur non presente fisicamente, rieccheggia in ogni cosa. La gente indossa impermeabili dai colori accesi o maglioni di lana oversize di gusto prettamente inglese e ha come unici ritrovi la taverna, la chiesa e la sala polivalente del villaggio, rappresentati all’interno di parallelepipedi aperti e basculanti posizionati sul palco. L’atmosfera statica del borgo è spesso sottolineata dal cromatismo cupo o tendente all’acido delle luci, tutto è pervaso da un senso di isolamento e ristrettezza di orizzonti ben evidenziato da un’ambientazione che, in qualche momento, fa venire, non a caso, alla mente alcuni quadri di Hopper.
La casa di Grimes è piccola, dotata solo di un televisore e di un paio di materassi appoggiati a terra, ma in facciata riporta i segni del dileggio paesano: un disegno grottesco tracciato con una bomboletta spray rossa e la scritta “killer” a lettere cubitali. Anche le numerose feste che avvengono nel villaggio hanno un che di triste e mostrano chiaramente come l’alcol sia per tutti l’unica occasione di fuga, seppur momentanea, dalla realtà, una fuga però che non porta alla rottura di alcun tipo di schema e proprio per questo viene tollerata. Il coro è parte integrante della vicenda e proprio come nella tragedia greca a volte assiste ai fatti in qualità di spettatore, posizionandosi su lunghe file di sedie.

John Graham-Hall è un indimenticabile Peter Grimes, scontroso, isolato, ruvido, a tratti iroso, ma anche malinconico e pacato, straordinario nella scena finale quando, carico di dolore, si avvia muto verso il suo destino, uscendo dalla finestra. Dotato di un timbro chiaro adattissimo al personaggio e molto attento alla parola, egli ha saputo ben contrapporre i momenti lirici a quelli in cui il canto si spezza fino a divenire antimusicale. Bravissima anche Susan Gritton nei panni di una Ellen Orford protettiva con Peter ed estremamente materna nei confronti del ragazzo, che supera benissimo la prova di una partitura estremamente articolata, brillando per dolcezza nelle mezzevoci e per solidità in acuto. Attorno a loro ruotano i vari abitanti del borgo, tutti ottimamente delineati nei loro tratti distintivi: si va dal farmacista “medicone” Ned Keene, sempre spensierato, nei cui panni abbiamo ammirato l’efficacissimo George von Bergen, alla pettegola del villaggio Mrs. Sedley interpretata da Catherine Wyn-Rogers che, col suo portamento altero e la voce scura, ha saputo rendere perfettamente l’idea del personaggio. Accanto a loro Felicity Palmer è una bravissima Auntie attorniata da due nipoti (Ida Falk Winland e Simona Mihai) sempre caracollanti e ridanciane, in carca di attenzioni, immagine perfetta di una gioventù vuota e priva di ogni tipo di valore; Christopher Purves è un Capitano Balstrode dalla bella voce rotonda, Peter Hoare l’odioso predicatore metodista Bob Boles, Christopher Gillet il cauto Rev. Horace Adams e Daniel Okulitch il coroner Swallow. Con loro Stephen Richardson (Hobson), Luca di Gioia (A lawyer), Annalisa Forlani (A fisherwoman).

Di altissimo livello le prestazioni del coro e dell’orchestra del teatro alla Scala, quest’ultima diretta da un Robin Ticciati, debuttante nella lirica, ma estremamente convincente ed incisivo nel sottolineare asprezze, evidenziare dissonanze o interpretare i lirismi allucinati del protagonista; riflessivi e di grande impatto gli interludi.

Il terremoto del mattino ha tenuto lontani dal teatro diversi spettatori, nel finale applausi entusiastici per uno spettacolo davvero splendido sotto ogni punto di vista: imperdibile.

Visto il
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)