Lirica
PHAEDRA

Firenze, teatro Goldoni, “Pha…

Firenze, teatro Goldoni, “Pha…
Firenze, teatro Goldoni, “Phaedra” di Hans Werner Henze FEDRA, IPPOLITO E IL LIETO FINE Phaedra è l’ultima creatura di Hans Werner Henze, opera concerto composta fra il 2005 e 2007, presentata per la prima volta a Berlino in autunno ed ora andata in scena in prima nazionale a Firenze al 71° Maggio Musicale in un nuovo allestimento. Il mondo classico è sempre stato per Henze fonte d’ispirazione per la capacità di esprimere sentimenti universali e di parlare alla coscienza; anche nella storia di Fedra e dei miti a lei correlati si ritrovano tutte le passioni, le colpe, i dolori e le vendette della nostra civiltà. Nell’opera di Henze, però, il mito conosce un ulteriore e singolare sviluppo: prendendo spunto dalle Metamorfosi di Ovidio Fedra diventa un uccello e Ippolito viene resuscitato da Artemide e trasformato in Virbio, Dio dei Boschi, a cui si schiude una nuova vita. L’opera, che procede a frammenti - quasi “intermittences du coeur” - collegati fra loro da sottili richiami, è divisa in due atti profondamente diversi per musica e atmosfera: la storia dell’amore incestuoso a Creta è caratterizzata da sonorità cupe , opprimenti, barbariche, mentre nella seconda parte ambientata in terra italica l’orchestrazione è più chiara e leggera, ci sono spunti ironici e giocosi, con un finale decisamente ottimista di apertura e apoteosi. La cesura fra le due parti ha delle motivazioni biografiche, in quanto il compositore durante la stesura dell’opera ha conosciuto la malattia e il dolore per la perdita del compagno e la risurrezione di Ippolito indica la volontà di un ritorno alla vita e alla creazione da parte di Henze stesso. La regia di Michael Kerstan è essenziale e meno originale di quella di Peter Mussbach per Berlino, ma coglie l’essenza della musica di Henze e l’immaginazione poetica del libretto di Christian Lehnert, risultando fedele ai contenuti drammatici e musicali. Per rafforzare l’idea concertante l’opera si svolge su di un palco collegato da una passerella alla scena mentre l’orchestra a vista occupa buona parte della platea del piccolo teatro. Il primo atto è caratterizzato da una suggestiva tenda di foglie d’oro illuminata da luci calde e autunnali attraverso cui si intravede un bosco o una reggia, mentre nel secondo atto prevalgono sfondi azzurrini e notturni, un paesaggio “da veduta” con tanto di grotta per evocare un ambiente naturale ed elegiaco. La semplicità dell’impianto scenico – discutibile in altri contesti – risulta efficace nella cornice del Goldoni, che contribuisce a creare un’atmosfera raccolta e intima dando quasi l’impressione di un teatro di corte di altri tempi , con il compositore in sala trepidante per la sua creazione. Come nell’Arianna a Nasso di Strauss, di cui tra l’altro il quartetto finale è un evidente citazione, convivono elementi comici e aulici: ironica e scherzosa la scena in cui Artemide ricompone i pezzi di Ippolito come fosse un burattino o quando Fedra, smessi i panni del personaggio tragico, indossa quelli della commedia dell’arte, un pennuto irriverente che deride con frizzi e lazzi Ippolito e la propria insana passione. Ma ci sono anche momenti di elevazione: la trasfigurazione di Ippolito che rovescia le statue di Afrodite ed Artemide per liberarsi dal potere divino e affermare l’umana responsabilità contemplando la luce soffusa del tramonto, preludio di un futuro migliore. La musica di Henze è il punto di forza della serata, una musica da camera suonata da ventitrè elementi (e solo quattro archi) che riproduce vasti universi sonori, seducente e sontuosa, dominata da ottoni di sapore wagneriano, percussioni di grande ricchezza timbrica, ma anche pianoforte, arpa e celesta per introdurre toni più intimi e riflessivi. La partitura sprizza chiarezza ed un’energia ancora “giovane” e affascina per il suo essere radicalmente moderna e al tempo stesso così arcaica. Abbondano le allusioni al mondo naturale (come già nell’Upupa del 2003) in un sistema di corrispondenze fra suono e parola di grande capacità descrittiva e evocativa e si riconoscono negli strumenti le cornacchie, le tortore, l’acqua, il temporale. Anche il canto è vario ed espressivo fra concertati, sprazzi melodici, Sprechgesang, duetti melliflui che si alternano ad aspre dissonanze. Un cast affiatato, di ottimo livello vocale ed interpretativo, ha contribuito al successo dell’opera. Nel ruolo di Phaedra si è distinta Natascha Petrinsky, sensuale, vendicatrice, spiritosa, dalla bella voce di mezzo che regge le incursioni nell’acuto e nel parlato. Cinzia Forte è una Aphrodite burrosa e volitiva, alter ego della protagonista e a lei vocalmente speculare. Nella parte di Hyppolit spicca Mirko Guadagnini, intenso e armonioso, il suo alter ego è Artemis interpretato da Martin Oro, controtenore dalla vocalità ambigua e suggestiva. Per concludere Maurizio Lo Piccolo conferisce voce profonda al Minotaurus, personaggio che introduce e chiude l’opera. Roberto Abbado ha offerto una lettura precisa, ma non arida, dell’opera, sottolineandone la struttura e i dettagli con chiarezza e sensibilità, perfettamente assecondato dall’orchestra del Maggio. Grande successo per un’opera che potrebbe diventare un classico e che si presta a molteplici chiavi di lettura. Particolare emozione nel vedere il compositore in sala in tutta la sua gioia e commozione. Visto a Firenze, teatro Goldoni, il 6 giugno 2008 ILARIA BELLINI
Visto il
al Goldoni di Firenze (FI)