Giancarlo Cauteruccio, regista-scenografo-artista visivo, ha fama di grande sperimentatore. Il suo è un teatro dove le arti sceniche incontrano la tecnologia, e il paesaggio è assunto come palcoscenico ideale per le sue performance tra video e luce; una sperimentazione avviata a partire dagli anni 70. Ma, come confessa lo stesso Cauteruccio nel programma di sala, in
questo teatro (...)il corpo aveva assunto una posizione marginale (...) [che] ha determinato in me uno stato di crisi [dalla quale] (...) prende forma il mio viaggio di ora (...) un viaggio introspettivo che fa emergere la complessità del mio corpo, i suoi conflitti, la sua patologia, la sua condizione estrema. La mia obesità, la mia voce malata, la mia conflittuale osservazione del mondo(...).
Un programma interessante, un'indagine sul corpo attoriale che diventa tout-court un'indagine sul corpo maschile. Una indagine favorita dal punto di vista omoerotico che ha fatto del corpo maschile un feticcio da idolatrare secondo i canoni più ortodossi di una bellezza consumistica. Quale migliore controprova di uno spettacolo incentrato su un corpo
ufficialmente fuori da quei canoni di bellezza?
Picchì mi guardi si tu sì masculo parte proprio da questa domanda. In scena Giancarlo Cauteruccio fuma (mentre ancora il pubblico deve prendere posto in platea) e viene concupito da un ragazzo magro e prestante, il desiderio del quale lo confonde: "perché", gli chiede, e si chiede, "ti piaccio proprio io? Non vedi i bei ragazzi che ci sono qua intorno"? Uno smarrimento che nasce dall'inconscia assuefazione a canoni di bellezza dei quali il suo personaggio è doppiamente vittima: perché escluso in quanto grasso e perché sensibile lo
stesso ai suoi criteri, nonostante tutto. Un inzio folgorante, che prometteva l'analisi impietosa di un corpo estremo, malato del quale Cauteruccio dice in scena Lo espongo, lo dispongo, lo suono, lo canto, lo ballo, lo urlo, lo piango, lo rido, lo tocco, lo sporco, lo lavo, lo sento, lo vivo. Il tormento di un corpo escluso che scopre invece di
suscitare lo stesso desiderio di quei corpi magri e asciutti che lui stesso brama. Ma lo smarrimento di questo desiderio, altro non perché omoerotico, ma perché rivolto a un
corpo grasso e grosso, si confonde subito con lo smarrimento ben più banale di scoprire in sé e nell'altro una pulsione omosessuale. Banale certamente non per chi se lo vive ma per chi
assiste alla sua rappresentazione teatrale sì.
Da quel momento la promesa-premessa esplode come una bolla di sapone e quel che resta dello spettacolo è il classico testo pieno dei cliché su atti sessuali consumati in fretta, sull'imbarazzo per un desiderio che non dice il suo nome che lascia il posto, subito
dopo il primo consumo, a una rivendicazione tronfia e ridicola (come quando Cauteruccio ricorda delle serate con amici dove si discuteva di tutto ma si faceva anche tanto sesso, cazzi e
culi...). Lo spettacolo non è affatto volgare, anzi alcuni ricordi d'infanzia che Cauteruccio racconta sono teneri nella loro ingenuità ma rientrano in quell'aura mediocritas di una lettura omoerotica a posteriori che confonde la scoperta adolescenziale della sessualità con l'omoerotismo. Insomma una premessa interessante si
trasforma alla prima occasione nel più corrivo teatro omosessuale fatto di timori e rinunce per la propria sessualità (ancora!), sesso mimato e raccontato. Un vissuto omosessuale privo di una vera e propria affettività e consumato al di fuori di qualunque progetto di vita comune, come la
società ancora oggi vuole che gli omosessuali vivano.
Al suo corpo malato e obeso (che poi così malato e obeso non è) Cauteruccio contrappone il corpo canonicamente desiderabile di Peppe Voltarelli che interpreta il giovane ragazzo al quale piacciono i ciccioni il quale, essendo
musicista e cantante, lo coadiuva nella rilettura in dialetto (lo spettacolo è
recitato in un calabrese non troppo stretto da consentirne la comprensione anche chi non mastica dialetti) di alcuni classici anni 60 della canzone italiana (da La bambola a
Sono come tu mi vuoi).
Insomma, lo spettacolo invece della promessa indagine sul corpo si limita a mettere un altro tassello sempre uguale a se stesso nell'immaginario collettivo frocio tra minzioni galeotte e canzoni di Mina.
E alla fine dello spettacolo, mentre il pubblico in sala applaude con enorme entusiasmo, ci si chiede con imbarazzo cui prodest? E, fondamentalmente, dov'è lo spettacolo? Dov'è il teatro? Qual è l'urgenza di un testo che non aggiunge una virgola a un discorso già fatto tante e tante volte?
Ma il palco è già vuoto e non c'è nessuno da cui ottenere risposta...
Teatro Belli, Roma 9 e 10 Giugno 2008
Visto il
al
Belli
di Roma
(RM)