Sex in the city a Venezia. Il “Pimpinone” di Albinoni

Pimpinone
Pimpinone © Michele Crosera

Il regista Davide Garattin Raimondi immerge la storia nella Venezia d'oggi, invasa da turisti molesti come piccioni. Ha pensato ad un Sex and the city sulla Laguna, e ci azzecca.

La storia è vecchia come il mondo: una scaltra e graziosa servetta seduce un danaroso babbione, promettendogli amore, riserbo ed umiltà. Ma, una volta sposatasi con lui, rivela un'indole capricciosa, amante del lusso e della mondanità.

Dai canovacci della commedia dell'arte - Pantalone vittima dell'ambiziosa Colombina – al Don Pasquale di Ruffini e Donizetti, le varianti sono innumerevoli. Ma il succo sempre quello. Come nella versione che ne diede Tomaso Albinoni con l'intermezzo intitolato Pimpinone inserito nel suo melodramma Astarto apparso nel novembre 1708 al San Cassiano di Venezia. E che ora rispunta nel non lontano Teatro Malibran nell'ambito del Progetto Opera Giovani, collaborazione tra La Fenice ed il Conservatorio Benedetto Marcello.

Troppo breve, bisogna allungare...

Sempre in questa sala, di Albinoni era andato in scena poco tempo fa il melodramma La Statira, necessariamente un po' decurtato nell'estesa durata. Curiosamente, qui il problema si è rovesciato: troppo concisa la partitura originale, serviva rimpolparla per arrivare al minimo sindacale di un'ora di spettacolo. Ci ha pensato con buona intelligenza Giovanni Battista Rigon, maestro concertatore, che ha aggiunto, all'inizio di ognuna delle tre parti in cui l'intermezzo è scandito, altrettante brevi pagine strumentali del compositore veneziano, consone alle arie successive. Interpolandovi quindi due brani che Telemann aggiunse quando utilizzò Pimpinone per un adattamento del Tamerlano händeliano, dato ad Amburgo nel 1725: «Ella mi vuol confondere» del protagonista e la tenera «Nei brevi momenti» di Vespetta.


Esecutori giovani e ben preparati

Con Pimpinone siamo agli esordi di un genere che troverà il suo apice con La serva padrona di Pergolesi, La Dirindina di Scarlatti, La contadina di Hasse, per poi dare vita all'opera buffa. Ne tiene conto, da provetto frequentatore di quel repertorio, lo stesso Rigon. Siede al cembalo per accompagnarne con garbato spirito i brevi recitativi, e davanti ha uno snello ensamble del Conservatorio veneziano: quartetto d'archi e un basso continuo formato da cembalo, contrabbasso e tiorba. Lo guida con buona scienza ed appropriata leggerezza, creando un brillante plafond musicale per i due solisti in scena, il basso coreano Jaehung Jeong e il soprano brasiliano Nabila Dandara. Ottimi allievi entrambi dell'istituto suddetto, che mostrano già scioltezza e precisione disimpegnandosi assai bene nelle loro parti. Diciamo che sono due sicure promesse.

Molto effetto con mezzi semplici

Il regista Davide Garattin Raimondi immerge la storia nella Venezia d'oggi, invasa da turisti molesti come piccioni (e piccioni molesti come turisti, non c'è salvezza per chi ci vive). Vespetta è un'attraente badante di colore, Pimpinone col libro dei conti sempre in mano pare un vecchio usuraio. Ha pensato ad un Sex and the city sulla Laguna, e ci azzecca. Due mimi con quelle mantelline da pioggia vendute per strada fanno da piccioni, poi si trasformano in petulanti turisti, infine recitano in costume le schermaglie di Pantalone e Colombina. Sono Veronica Heltai e Paolo Lavana.

Scorgiamo in questo gustoso spettacolo, dal ritmo vorticoso, molte intuizioni felici, sorrette da accorti espedienti scenici – videoproiezioni comprese - e dalle gradevoli e minimalistiche scenografie di Paolo Vitale. C'è pure il giro in gondola, immancabile. I gustosi costumi di Giada Masi fanno il resto.