Prosa
PIRANDELLO SCONOSCIUTO OVVERO, L'ALTRO FIGLIO, SOGNO (MA FORSE NO), ALL'USCITA

Tre atti unici, anzi due.

Tre atti unici, anzi due.
Nella rassegna teatrale Il Pirandello sconosciuto in scena all'orologio sono in cartellone tre diversi atti unici. Del primo, L'altro figlio, si è già avuto modo di parlare in occasione di un suo precedente allestimento (con lo stesso organico) nella scorsa stagione dell'Orologio, un allestimento riuscito che meritava questa ripresa, il cui attuale allestimento riconferma quando scritto allora (ribadendo i forti dubbi sulla recitazione di Simone Perinelli, purtroppo confermati anche dalla sua performance ne All'uscita). La vera novità doveva essere Sogno (ma forse no) che non è potuto andare in scena, purtroppo, per l'indisposizione di un'attrice. L'unica "novità" della rassegna è dunque il brevissimo atto unico All'uscita scritto da Pirandello nel 1916 e destinato, nonostante la forma drammatica, alla narrazione, rappresentato a teatro per la prima volta da Lamberto Picasso solamente il 29 settembre del 1922 al teatro Argentina di Roma. Pirandello immagina l'incontro di alcuni morti all'uscita di un cimitero i quali, abbandonate le loro spoglie mortali, prima di scomparire del tutto, mantengono ancora per un po' l'apparenza che ebbero in vita perchè, e qui si nota l'influenza della Teosofia, sono ancora legati alle cose terrene da un desiderio, dalla ricerca di una risposta. Un filosofo accoglie altri morti,venuti dopo di lui, un uomo grasso, tradito dalla moglie, tenuto là dal desiderio di vedere arrivare la moglie, che sa per certo verrà uccisa dall'amante, come puntualmente avviene, e quella di un infante il cui unico desiderio prima di svanire era di mangiare una melagrana. Alla fine mentre alcuni contadini, in vita, passano accanto al cimitero (e una bimba percepisce la loro presenza), l'uomo grasso, consumato il suo scopo, scompare, la moglie corre dietro la bambina e solo il filosofo resta là "seguitando a ragionare". Due gli argomenti affrontati nell'atto unico. La somiglianza dei morti ai vivi, l'apparire soggettivo di quelli che gli uomini credono dei fatti, e una certa vanità dei sentimenti umani che per trovare una dimora al di fuori dell'uomo si fanno piccoli. L'uomo ha bisogno di fabbricare una casa ai suoi sentimenti, individuando nei cimiteri non tanto la vanità dei morti che, in vita, vogliono una dimora per le loro spoglie (Storia vecchia risponde il filosofo all'uomo grasso che dà questa spiegazione) quanto per l'incapacità dei vivi di accontentarsi di avere i sentimenti dentro l'animo e il bisogno di vederseli anche fuori, fuori dove naturalmente non ci sta nessuno. Lo stesso vale per la dimora di dio, quelle chiese che, per quanto ricche, non sono mai ricche come il mondo intero o come lo spirito dell'uomo. Caterina Martino ha la felice intuizione di insistere sull'aspetto surreale di questo mistero profano e inverte alcune assegnazioni tra personaggi e attori. Così il filosofo è interpretato da Veronica Scurti, giovane dalla corporatura abbondante, che si rivolge all'uomo grasso interpretato da Simone Perinelli, che grasso non è, per cui assistiamo a questa buffa distonia, accentuata dalla recitazione apparentemente svagata e fondamentalmente indovinata di Scurti. A confondere le idee però Martino inserisce alcuni altri morti (non previsti nel testo Pirandelliano) che scompaiono così come sono comparsi senza che ci venga spiegato il desiderio che li tiene ancora momentaneamente sulla Terra, indebolendo la spiegazione che il filosofo fornisce per la loro presenza lì. Discutibile poi la scelta di sottolineare l'arrivo dei morti con il suono di una campana, che va a sovrapporsi anche ad alcuni dialoghi dei personaggi, come al discorso fatto dal filosofo sui cimiteri e su dio in parte coperto da suono delle campane fino quasi a cancellarne l'importanza, tant'è che nel finale lo stesso discorso viene ribadito, ripetuto quasi per intero, da una voce registrata su nastro. La voce su nastro è un espediente impiegato anche in altri momenti dell'atto unico, una volta per mostrare il meccanismo della scomparsa dei morti (quando il filosofo constata che l'uomo grasso sembra quasi scomparire per poi raddensarsi e l'uomo grasso esce di scena mentre le sue battute sono recitate da una voce registrata su nastro), oppure quando la voce dell'uomo grasso viene sdoppiata tra quella registrata su nastro e quella dell'attore che ripete quasi le stesse parole. Una ricerca elegante anche se non del tutto riuscita o, come si diceva, motivata, che cerca di dare nerbo al ritmo della pièce piuttosto che seguire alla lettera il dettato pirandelliano, ricco, ricchissimo di didascalie. Deroghe al testo che mancano a tratti di misura come la comparsa della moglie dell'uomo grasso della quale viene sottolineato l'aspetto quasi grandguignolesco, efficace all'inizio ma che scade ben presto, e davvero per poco, nel grottesco, registro che sicuramente non era nelle intenzioni di Pirandello. Ma anche con questi interventi discutibili di regia il testo Pirandelliano emerge e si impone in tutta la sua valenza e attualità. Bisogna infatti riconoscere alla compagnia il merito di portare in scena testi meno noti di Pirandello che così possono essere apprezzati in tutta la loro genialità e modernità a distanza di quasi un secolo dalla loro scrittura.
Visto il 12-01-2010