Prosa
PLATONOV

Platonov, una finestra aperta su Čechov

Platonov
Platonov © Manuela Giusto

Platonov è considerato un testo impossibile da rappresentare. Eppure la riscrittura di Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo rende l’allestimento messo in scena dalla compagnia Il Mulino di Amleto un’opera aperta.

Una delle opere giovanili di Čechov, scritta dall’autore all’età di ventuno anni, è stata pubblicata postuma (1920) e senza titolo, attribuito successivamente dalla critica. Platonov – così è conosciuto oggi il primo dramma cechoviano - è un meraviglioso affresco corale e incompiuto, popolato da personaggi incompleti e resi fragili dall’intrinseco dualismo tra ciò che vorrebbero essere, che inevitabilmente si scontra con quello che sono (o non sono) nella realtà.

Un testo che parla di giovinezza, dal quale traspare il fallimento del tentativo del giovane Čechov di raccontare la vita, cogliendone i profondi meccanismi nella finitezza della rappresentazione teatrale.

La vana ricerca della felicità secondo Marco Lorenzi

Platonov è generalmente considerato un testo impossibile da rappresentare. Eppure la riscrittura del testo firmata da Marco Lorenzi e Lorenzo De Iacovo rende l’allestimento messo in scena dalla compagnia Il Mulino di Amleto un’opera aperta che accorcia le distanze tra pubblico e attori.
L’azione si svolge d’estate nella tenuta di Anna Petrovna, possidente caduta in disgrazia: qui, tra tanti bicchieri, vodka che scorre a fiumi e una vetrata come unico sguardo verso l’esterno, trascorrono le proprie vuote serate estive personaggi insolitamente comici, malgrado la solitudine e l’inconsistenza della loro affannosa ricerca d’amore.



Tra loro Platonov (Michele Sinisi), maestro elementare, un personaggio cinico che ama apparire in società come un uomo di spirito, paragonabile talvolta ad Amleto oppure a Don Giovanni, in un’interpretazione che sprigiona una furia talvolta eccessiva e un malcelato tentativo di riscatto delle proprie origini. Egli è consapevole di essere parte integrante di un mondo vacuo e privo di ideali; conteso tra la moglie Sasha (Rebecca Rossetti), la stessa padrona di casa e la giovane Sofja (Barbara Mazzi, sempre efficace quando si tratta di esprimere sentimenti in bilico tra l’incanto e la disillusione), prova un senso di inadeguatezza nei confronti dei sentimenti che le tre donne provano per lui.

Umanità vacua e disillusa

Ancora una volta la regia di Marco Lorenzi predilige un approfondito ed efficace lavoro con e sugli attori per rappresentare una “festa nella tragedia” al quale prendono parte anche Raffaele Musella, nel ruolo del teatrante, il personaggio più evanescente ma al tempo stesso autentico, insieme ad Angelo Tronca nel ruolo di un giovane medico privo di morale, che non si è ancora reso indipendente dal ricco padre (Stefano Braschi).



A consolidare la ricerca di un legame tra gli esponenti di un’umanità vacua e disillusa, ci pensano il fascino convincente e disincantato di Roberta Calia, nel ruolo di Anna Pavlova, e Yuri D’Agostino, nella parte di un criminale per necessità, che vorrebbe essere accettato dal gruppo, ma è costretto a osservare tutti dall’altra parte della vetrata, tenendo però in scacco il destino di ciascuno di loro.

Un allestimento essenziale ma autentico, focalizzato alla condivisione con il pubblico delle emozioni conseguenti al lento e tuttavia spensierato consumarsi di un inevitabile dramma.

Visto il 02-04-2019
al TPE Teatro Astra di Torino (TO)