Donna McAuliffe, giovane madre, è accusata di avere ucciso i suoi due figli. Lynn, la madre di Donna, teme che il processo della figlia possa danneggiare la sua campagna elettorale. Il dottor Millard viene in aiuto di Donna, sollevandola da ogni responsabilità in quanto soffrirebbe della sindrome di Leeman-Keatley. I metodi del dottor Millard sono però poco scientifici tanto da indurre a chiedersi se la sindrome esista davvero. La campagna elettorale di Lynn trova negli articoli scandalistici sulla figlia uno strumento insospettato di propaganda che la fa vincere. Intanto Donna viene scagionata per insufficienza di prove. Esce di prigione ma la sua vita è ormai cambiata. Il marito l'ha lasciata, il rapporto con la madre irrimediabilmente compromesso.
Donna ora vive da sola, aspettando un bambino avuto da un rapporto occasionale.
Questa la cornice narrativa che solo alla fine della pièce allo spettatore è concesso di comprendere in tutta la sua linearità. Il testo è costruito come un puzzle elegante e progressivo, che ha consacrato il suo autore Dennis Kelly (1970) come drammaturgo di fama mondiale, nel quale lo spettatore è posto via via di fronte a varie testimonianze (registrate in video, e dal vivo) delle quali gli sfugge sfugge all'inizio l'intimo legame. Un giallo dunque costruito secondo la retorica del mistero di tanti reportage televisivi.
A portare in scena questo testo mediale è L'Accademia degli Artefatti e l'incontro con Kelly non poteva essere dei più felici. Fabrizio Arcuri e il suo gruppo di attori-performer, affiancati da una guest star come Raffaela Ragonese nel ruolo di Donna, approccia il testo di Kelly in maniera multimediale (proiezioni video) che caratterizza spesso il loro percorso di ricerca teatrale ma che mai come in questo caso trova una ragione interna al plot per il loro impiego.
L'argomento che Kelly affronta con Thaking Care of Baby non concerne infatti l'infanticidio commesso da una madre, ma riguarda la macchina mediatica che su eventi di questo tipo non solo fa spettacolo, manipola, gestisce, crea ma fa verità, produce realtà. Una realtà fittizia naturalmente come dimostra la pièce.
Lo spettacolo si apre con la proiezione di alcuni interventi di Lynn, la madre di Donna, che racconta dei timori per la sua campagna elettorale, e quella di qualche goffo incontro con gli abitanti del suo quartiere, alternate a una lunga intervista a Donna, riproposta in più parti, che racconta della sua prima notte di carcere, delle fasi del processo, di cosa ha provato nel sentirsi accusata di aver ucciso i suoi due bambini.
Per il primo quarto d'ora lo spettacolo e tutto qui una proiezione video, negazione del teatro e rimozione di quel che lo caratterizza rispetto il racconto per immagini: la presenza fisica degli attori in scena. Siamo nell'ambito televisivo della ri-produzione della realtà, attraverso uno strumento come la telecamera che si pretende neutro e che invece ha il grande potere di presentare per vero quel che invece distorce, interpreta, riproduce ed esibisce. Non a caso alcune didascalie precedono la proiezione avvertono lo spettatore che quanto sta per vedere (non già lo spettacolo teatrale quanto le immagini in movimento presenti nello spettacolo) riproducono fatti realmente accaduti, nei quali non sono state cambiate né parole né nomi. Garantendo una verità che non esiste nel momento stesso in cui pur ammettendo che ne è una ricostruzione la presenta al pubblico pretendendone fedeltà e verità.
Mentre l'intervista a Lynn è pre-registrata così come lo sono evidentemente i suoi tentativi di incontrare la gente del quartiere l'intervista a Donna non è registrata ma in diretta. Isabella Ragonese è all'ultima fila di platea, nascosta al pubblico, ripresa da una telecamera e ri-proietatata sullo schermo sul palco. Lo si capisce solo quando dal palco, che fino a quel momento era rimasto vuoto, un uomo emerge, illuminato, dallo stesso tavolo di regia dello spettacolo (posto inusualmente sul palco, di quinta, in una squisita elegante e piena di significato, sovrapposizione tra apparato e messinscena) e fa qualche domande a Donna. Le domande sono fatte dall'uomo in carne ed ossa sul palco, mentre Donna risponde proiettata sullo schermo segno evidente e concreto che la realtà produttrice di significato precede sempre quella video. Una realtà che deborda presto dallo schermo sul palco, nel teatro (inteso non come edificio ma come mezzo di comunicazione). La conferenza del dottor Millard non è ricostruita in video ma sul palco: vediamo il dottore in carne ed ossa, amplificato da un microfono, come fossimo davvero alla conferenza. Alle sue spalle, sullo schermo, come pubblico, vengono proiettate le immagini di una telecamera che riprende la platea del teatro, gli spettatori che assistono allo spettacolo diventano così attori dello spettacolo. In un rimando continuo tra presenza fisica concreta e riproduzione mediale dell'attore e del personaggio
Arcuri usa l'aura del teatro (il fatto che nel teatro gli attori sono lì e allora nel momento in cui lo spettacolo si fa e non in un qui e adesso fittizio e atemporale che pertiene alle immagini filmate) per destrutturare, scomporre, distruggere la (ri)produzione di (falsa) realtà fatta da un media pervasivo come quello televisivo che con voyeuristica passione non risparmia nessuno.
Non risparmia Donna quando continua a filmare una sua crisi di nervi (una volta tornata dal carcere a casa dalla madre, nonostante Lynn chieda più volte di interrompere la ripresa).
Non risparmia il dottor Millard il quale viene invitato a un programma (ricreato anch'esso sul palco mentre sullo schermo vediamo l'immagine della trasmissione televisiva che si sta facendo in quello studio) nel quale viene screditato assieme alla sindrome di Leeman-Keatley. Persino il marito di Donna dopo aver scritto a un giornalista che lo vuole intervistare lettere di risposta piene di insulti e diffide accetta di essere intervistato purché gli vengano fatte domande alle quali possa rispondere con un sì o con un no (ma ben presto si lascia andare al commento, al monologo, all'invettiva). Mentre il giornalista della stampa racconta direttamente al pubblico i suoi primi articoli, tra commenti sul suo continuo stato di eccitazione erotica e sul suo grande amore per i seni...
Solamente alla fine, quando questo meccanismo di ri-produzione del reale dell'informazione televisiva è stato sviscerato sino al sue estreme conseguenze Donna compare sul palco in carne ed ossa per un'intervista nella quale ci racconta della sua vita adesso e l'intervista diventa confessione e monologo teatrale quando il pubblico, a differenza di Donna, non sente più le domande dell'intervistatore e può sentire solamente le risposte di Donna che reagisce visibilmente (ride, acconsente o è infastidita) a domande ormai mute. Ed ecco che la rinormalizzazione è compiuta. Il personaggio mediatico da tutti creduto vero è collocato nell'unico spazio in cui è palese la propria finzione quel palco teatrale sul quale c'è l'attore in carne ed ossa.
Dove non c'è l'immagine riprodotta ma la persona tout-court dove la finzione palese del teatro è l'unica in grado di dire la verità che siamo malati di immagini che ci drogano di una realtà inesistente che ci tiene scollegati dal mondo vero.
E questo Fabrizio Arcuri e l'Accademia degli Artefatti (e anche Kelly naturalmente) ce lo mostrano in maniera esemplare, splendida, perfetta, indimenticabile.
Prosa
POCO LONTANO DA QUI
La finzione palese del teatro è verità.
Visto il
11-04-2011
al
Belli
di Roma
(RM)