Tre bare dominano la scena, tre bare erette e sigillate.
Lo spettacolo inizia e il tecnico le apre: escono, uno alla volta, tre personaggi che gridano di rabbia e di muto dolore, sono tre “eroi” dei giorni nostri disperati ed esasperati che incarnano i nostri peggiori incubi, danno voce ai nostri più intimi tormenti.
Sono tre morti che respirano ancora, morti dalla nascita.
Il loro scandire è a tratti frenetico, adrenalinico e a tratti più rallentato, più umano: non recitano, ma citano, è come se fosse un pezzo rap arrabbiato e violento, dal gusto punk.
I Babilonia Teatri sono un tornado, un fiume in piena, non temono nulla, non nascondono nulla, non hanno paura del non-detto: niente qui è prettamente teatrale, tutto è trasposizione, cruda e schietta, semplice e diretta senza alcuna vergogna per un linguaggio secco, ripetitivo, forte e folle, composto da “una sinfonia ruvida di parola, silenzio, pausa”.
I Babilonia ci vomitano addosso parole, suoni, slang volgare e quotidiano senza sosta, ci mettono con le spalle al muro e ci costringono a pensare.
C'è una signora borghese che fa la volontaria per noia, come passatempo, tutta aggindata, con un vestito leopardato e calze turchesi: viene insultata al telefono, cacciata in malo modo dal padre di una tossica...c'è una ragazza sballata con un vestita viola e calze rosse che non riesce a reggersi in piedi, alle prese con la sua solitudine che si divide tra sofficini, vino rovesciato, birra e rapporti lesbici...c'è un uomo che mastica in continuazione caramelle al Miele Ambrosoli e sogna di diventare famoso, di essere un eroe, una pop star imitando la Pausini che vinse Sanremo a soli 18 anni e che per noia alla fine si ammazza...
Lo spettacolo si muove all'insegna della ricerca forsennata e ossessiva del termine giusto, è dominato da una vena autodistruttiva e a tratti quasi autopunitiva, autolesionistica.
Il registro recitativo è quello dei Babilonia: voci atonali, senza pathos, senza recitazione, senza sentimento o emozione, senza espressione.
Lo spettacolo è una corsa incontro alla morte, sono tre vite che si incrociano, ma non si toccano; il linguaggio è violento, forte, rabbioso, nasce dai pregiudizi, dalla paura, dall'odio nei confronti dell'altro: è una litania serrata e feroce che ci mostra la scomoda realtà, il vero volto del mondo. Lo spettacolo è esasperato, sospeso e infuriato, ma anche liberatorio: qui c’è da sopravvivere. Babilonia Teatri si confermano essere una formazione felicemente irrispettosa, coraggiosamente irritante e piacevolemente snervante. È un lavoro delirante, ironico, che coniuga sapientemente rigore formale e follia narrativa: la fissità degli attori sul palco diventa la forza della messa in scena, che consente agli attori di vivere la storia senza interpretarla.
Pop Star è una favola kitsch, dai colori improbabili sovrapposti lucidi e leopardati.