Tra il '66 e il '67, ispirato dai Dialoghi di Platone, Pasolini elabora durante un periodo di convalescenza sei opere teatrali, tra cui Porcile. Dal filosofo greco apprende la capacità di “scrivere attraverso i personaggi” (intervista sul Corriere del Tirreno, 13/11/71) e di tradurre in azione la parola poetica.
Se il testo è fedele all’opera pasoliniana, l’interpretazione scenica di Valerio Binasco ha un linguaggio contaminato da un immaginario visivo contemporaneo. Pochi riferimenti reali, uno sguardo intimo e fragile e una perturbante tensione che strania e lascia in sospeso lo spettatore. Tra Bill Viola e Paolo Sorrentino – complice il ricorso a proiezioni video e proiezioni virtuali per scandire gli episodi del dramma pasoliniano – Porcile di Binasco dà un volto nuovo e personale all’opera, unisce una surreale staticità e lentezza a un'inquietudine di presagi e tensioni.
Sospesi nel tempo della tragedia, i protagonisti mostrano tra ironia e contrasti, un’umanità semplice, intima e fragile. I problemi socio-politici degli anni Sessanta in un’Europa infuocata dalle proteste, dalla paure della guerra, forniscono indicazioni storiche precise, ma l’analisi dei cambiamenti antropologici dell’uomo a causa del capitalismo e del bieco consumismo prevalgono. Pasolini e lo stesso Binasco mettono in evidenza il dramma esistenziale del giovane Julian e della sua famiglia, divorati dalla necessità borghese della produzione e dell’attivismo, sotto una luce grottesca che coglie la profondità psicologica di un eroe straniato.
Se Pasolini si concentra sul Teatro di Parola, Binasco – supportato da Lorenzo Bandi (scenografie), Roberto Innocenti (luci) e Sandra Cardini (costumi) – porta in scena un’opera visiva, a tratti tableaux vivants che suggestionano lo spettatore e sottolineano la drammaturgia testuale.