Prosa
POVERI CRISTI

Poveri Cristi, nei versi e nell'anima

Poveri Cristi
Poveri Cristi

Poveri Cristi è un viaggio attraverso i versi e i canti della tradizione dialettale del Sud (di tutti, i Sud), nel quale la drammaturgia è il disegno, il tratto artistico che unisce la Parola e la Musica.

Poveri Cristi è un viaggio attraverso i versi e i canti della tradizione dialettale del Sud (di tutti, i Sud), nel quale la drammaturgia è il disegno, il tratto artistico che unisce la Parola e la Musica.

Versi delle anime, persi nelle terre

Quel Sud dell'anima, caro ad Ettore Scola, si fa presto ad individuare nella diversità e nell'esclusione che qui si incontrano nelle molte storie raccontate dalle note e dai vernacoli che si susseguono in scena, con una scaletta che offre un florilegio tragico e ironico, incatenando ribellione e rassegnazione: dalla penna di Jacopone da Todi a quella di Mimmo Borrelli, passando per Ferdinando Russo, Trilussa, Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Eduardo de Filippo, Ignazio Buttitta, Otello Profazio, Rosa Balistreri e Michele Sovente.

Ma qui c'è anche altro.
Anzitutto, una ricerca antropologica rivelata da gesti e riti come quelli apotropaici che evocano antiche attitudini al sincretismo, tipico dei popoli che mettono insieme ciò che ritengono sia il meglio delle religioni e delle filosofie conosciute; e così facendo, insegnano anche al resto mondo il motivo per il quale sono state inventate...
E poi, quando ascolti Rosa Balistreri magari non capisci tutte le parole, ma sei dentro, comprendi i sentimenti e partecipi delle sensazioni, a conferma della bontà del fil rouge che è stato costruito.
Molto ben pensate sono infatti le legature che partono dalla Creazione (l'Adamo di Trilussa è il primo “povero Cristo”) e attraversano come un fiume continuo gli inserti di Mimmo Borrelli (oltre al prologo Stasera ce facimmo 'na bella scampagnata, c'è anche un suo inedito, poi l'inaudita storia (vera) di Pacchione e quella di Angela, violentata e accolta dal mare che ne fa un delfino). Accanto alla lauda drammatica del Pianto della Madonna di Jacopone da Todi (Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è priso. Iesu Cristo Beato) ci si scuote al ritmo frenetico della Moresca del Gatto (Dint'a notte chiara, nunn'avé paura), e si affrontano i Riti di chiesa, riti di magia di Michele Sovente e il Viviani dei Dieci Comandamenti, imbattendosi addirittura in una toccante versione de Lu pisce spada di Domenico Modugno.
E poi ancora ecco il mondo di un disperato gesto di umanità fra due soldati, lo sprofondamento nella tetra miniera/tomba di Marcinelle, e la riemersione nel vigore e nella comicità alle porte del Paradiso dinanzi a San Pietro, fino all'entusiastico finale di Fantasia, su versi di Eduardo messi in musica.

Senza Grazia, con molta grazia

La scenografia richiama elementi della fatica di “tirare avanti”, fra legni di barche, valige per emigrare e tre croci, ed abiti che inverano preti e spose, costruendo il compendio di una umanità senza Grazia, intesa come mancanza di quella benevolenza che gli Dei dovrebbero mostrare verso gli esseri umani, benignità che non discende da Scritture ed infatti non c'è.
Fra sciavechielle e valanzole, il sapore terrigno della sofferenza umana si fa acqua salata di mare, inquinato dagli stenti umani che vi cercano riparo, e trovano ancestrale dimora. Spesso l'unica.

A questo lavoro, concepito ed eseguito dallo stesso gruppo di artisti in scena, danno un corpo pieno di grazia Gennaro Di Colandrea, regista e attore dall'esperienza versatile e completamente immerso nelle anime che si susseguono, e Valentina Elia, dalla voce e dal gesto che vediamo sempre più coinvolgente e sicuro; in scena, come parte essenziale dell'idea, troviamo anche i musicisti/arrangiatori Anna Della Ragione (chitarra) ed Antonio Della Ragione (percussioni), quest'ultimo fresco vincitore dell’edizione 2018 delle Maschere del Teatro Italiano come Migliore autore di musiche per La Cupa.

Visto il 10-11-2018
al NEST - Napoli Est Teatro di Napoli (NA)