E' approdato a Roma dopo, il debutto torinese, PPP ultimo inventario di liquidazione l'attesissima ultima fatica di ricci/forte, omaggio al portato artistico di Pier Paolo Pasolini.
Fatica anche del pubblico chiamato a seguire uno spettacolo che richiede una attenzione costante e capacità ermeneutiche notevoli.
L'unica presenza maschile, di Giuseppe Sartori, declama parole liriche e interagisce con cinque presenze femminili che rispondono a loro volta con parole dette non solo in italiano ma anche in francese e portoghese (restituite in italiano grazie a una videoproiezione).
La scenografia abbacinata da una luce generosa, vede sulla sinistra una montagna di pneumatici bianchi di biacca, con uno dei quali, di dimensioni maggiori, Sartori entra in scena schiacciato dal suo peso.
Le cinque presenze femminili, vestite di abiti su tonalità verde e marrone spento, hanno una funzione narrativa molteplice come quando interpretano delle giornaliste che si distinguono per un femminino frivolo facendo domande sciocche al maestro, tradendo una malcelata misoginia, o paternalismo, degli autori, i quali, invece di puntare sul divario culturale della borghesia che Pasolini definì la più ignorante d'Europa, preferiscono gingillarsi con la stupidità contemporanea addebitandola però, e non si capisce perché, esclusivamente alle donne.
Lo spettacolo inanella alcuni dei topoi scenici classici del teatro di ricciforte (la presa violenta sui capelli, quando Sartori tira indietro le donne che avanzano verso il proscenio; le maschere animali, stavolta quella del maiale) in un regesto di temi e testi pasoliniani sofisticato (fin troppo) del quale sfugge il senso: per cosa sono stati chiamati in causa oltre che per l'elencazione?
La critica di ricciforte al quotidiano contemporaneo di una società dei consumi mediatizzata tra nuove tecnologie e social network si innesta sui testi pasoliniani con una insistita concentrazione sul linguaggio cinematografico, cui fa riferimento quel PPP del titolo, che può esser letto sia come iniziali dell'intellettuale sia come abbreviazione di primissimo piano.
Un innesto sostenuto più da un afflato citazionale che dall'urgenza di una denuncia che in Pasolini era dolorosa e sofferta mentre in questo spettacolo si attesta sul gusto estetico di una messinscena che sembra diventare la sua vera ragione d'essere senza fornire se non un punto di vista critico almeno un presupposto politico (narrativo?) dal quale allestire una critica.
Manca a PPP l'analisi antropologica e sociale del potere fatta da Pasolini mentre ricciforte preferiscono fare di Pasolini una presenza mitica secondo il punto di vista, discutibile ed eccentrico, di Zigaina che vedeva nella sua morte un atto di rivalutazione semantica di tutta la sua opera, dimenticando che Pasolini non è morto ma è stato ucciso.
Estetizzante anche la ricostruzione simbolica dell'omicidio: il poeta è riverso a terra, mentre le cinque figure femminili vestite di tute bianche di poliprene gli indugiano intorno; una gli versa indosso del bitume mentre un'altra fa passare uno pneumatico sopra il suo corpo rievocando più l'ingresso del Poeta nel mito che l'atto politico che quella morte rappresenta.
Il riferimento alla recentissima strage della città di Orlando, il cui nome campeggia proiettato sulla scena, dove 50 persone sono state uccise in un locale gay, collega l'assassinio di Pasolini direttamente all'omofobia dimenticando che l'omicidio aveva una evidente matrice politica e che l'omosessualità venne usata per nasconderne la vera ragione: eliminare un intellettuale certamente scomodo ma non per la sua omosessualità.
L'assenza dell'erotizzazione del corpo maschile della quale ricciforte hanno fanno un segno distintivo del loro teatro, vera novità dello spettacolo, produce l'effetto collaterale di eslcudere l'omosessualità di Pasolini presente in tralice in tutta la sua opera.
Uno spettacolo autoreferenziale più attento agli interessi culturali dei due autori che a guardare cosa accade davvero nel mondo che li circonda.