Il precario senso della vita e del suo scorrere a volte imprevedibile e non scontato. Le nostre esistenze possono riservare delle sorprese inaspettate: succede che il destino placido e garantito di un essere umano, rischi di invertere la rotta e naufragare sugli scogli di una vita infausta e miserevole. A meno che non ci sia qualcuno disposto a offrire il suo aiuto, solidale e generoso. Precarie età, la commedia di Maurizio Donadoni, (commissionata dal Teatro Stabile di Bolzano) racconta le vite di due donne diverse tra loro: l'una in carriera, elegante, piacente, sicura di sé, (Patrizia Milani nel ruolo di Silvana Nobile) che deve il suo successo alle disgrazie professionali altrui, (viene chiamata dalle aziende per licenziare. Quella che in gergo si chiama “tagliatrice di teste”), ma dietro il successo e l'affermazione sociale (a scapito dell'altro più sfortunato di lei), incombe una vita privata segnata dall'abbandono del tetto coniugale di un marito pronto a scaricarla per una donna più giovane. Strano destino per una come lei. Sempre ben disposta a segnare la precarietà sociale ed economica altrui, salvo poi ritrovarsi se stessa in condizioni sentimentali, affettive, sociali e relazionali (e chi più ne ha più ne metta) in un precario mondo di disagio e solitudine esistenziale. L'altra donna, la seconda protagonista, è Marina Battaglia, (ruolo affidato a Maria Paiato) una donna tutto il contrario della sua antagonista. Sfiorita nell'età, sola, scartata dal suo datore di lavoro, nonostante una vita professionale svolta con dedizione. La sua rabbia la costringe a rifugiarsi nei meandri oscuri del magazzino della ditta per cui lavora, una sorte di camera oscura del proprio disagio esistenziale, in cui resistere al cinismo di chi, sopra di lei ha già deciso, quella che sarà d'ora in poi la sua vita: precaria. Il destino vuole che le due donne si conoscano per poi dividersi e infine, ritrovarsi. Questa volta per sempre. L'autore crea un ribaltamento scandito da amari quanto esilaranti colpi di scena. Silvana si ritrova a vivere sola e abbandonata, soffocata da un precario disordine materiale ed esistenziale, in una casa disordinata, ingombra di cose inutili. Indifesa e sola ha paura perfino della sua ombra. Marina, invece, si è riscattata. Ha trovato un nuovo lavoro che svolge con successo. Si occupa di risistemare gli spazi abitativi altrui e non solo quelli. La storia scritta da Donadoni le affida anche il compito di risistemare anche la vita, sempre più precaria, di chi ha perso tutto. E quindi anche di Silvana. Un lungo preambolo necessario per dire quanto sia positivo il giudizio dopo aver visto l'impegno in scena delle due attrici, guidate con abile maestria dalla regia di Cristina Pezzoli. Grande prova attoriale di Patrizia Milani e Maria Paiato, straordinarie nel dare vita ai loro ruoli. La regia punta molta sul disegnare con abile perizia le diverse caratteristiche comportamentali, caratteriali, giocando su tutti i registri disponibili. Si va dal drammatico all'ironico, al surreale, con qualche incursione nel comico brillante, funzionale, però, alla drammaturgia. Un impegno scenico faticoso, specie per Patrizia Milani, costretta a spogliarsi nel tailleur elegante, per indossare una sorte di tuta scafandro che la sforma e la rende goffa e sciatta. Da vita ad un personaggio che intenerisce e commuove, mentre Maria Paiato crea un personaggio appassionante e vitale. Abilissima nel primo atto nel dare vita a una donna sconfitta ma non rassegnata. Energica nel resistere in nome di una dignità che la premierà alla fine. Piano piano si capisce dove Maurizio Donadoni vuole andare a parare. Si chiede e ci chiede: esiste una possibilità per sfuggire alla precarietà che incombe sulla nostra vita? Donadoni risponde di si. Esiste eccome, basta lasciare entrare nella nostra vita, la speranza, la fratellanza, l'amicizia, la solidarietà umana, come solo due donne, (ma vogliamo credere allargata senza distinzioni di genere, sesso e razza), sanno creare. Il testo pur presentando qualche acerbità nella scrittura e qualche eccesso nei dialoghi, a tratti ridondanti e prolissi, ha il pregio di toccare un tema contemporaneo e tristemente attuale (quanti sono i casi di perdita del lavoro sfociati nel dramma, segnati dalla solitudine dentro una società e una politica che pare, ma non troppo, incapace di affrontare?), per non parlare dei fallimenti affettivi di molte coppie dove l'amore vira nell'odio.Va segnalata, oltre alla regia di Cristina Pezzoli, sempre molto attenta a nuove soluzioni sceniche, anche metaforiche e surreali, ben pensate per dare senso alla commedia, la soluzione geniale della scena ideata da Giacomo Andrico: una catasta di scatoloni dai colori stinti e “precari”, (il magazzino aziendale prima, l'appartamento-rifugio poi), dove prima il tutto occupato si sposta e si smonta, in cui interagiscono due operai extracomunitari (Uche Thomas e Kevin Odion), simpatici nella loro spontaneità fisica e scenica, nonché abili percussionisti. Successo pieno e meritato per uno spettacolo che sa unire con intelligenza, la necessità di una seria riflessione sull'egoismo sociale così dilagante al giorno d'oggi e la giusta dose di un disincantato senso dell'umorismo.
Prosa
PRECARIE ETà
La speranza di cambiare la nostra vita precaria
Visto il
27-05-2010
al
Comunale (Teatro Studio)
di Bolzano
(BZ)