Prima del silenzio fu scritta da Giuseppe Patroni Griffi per Romolo Valli, che la portò in scena nel dicembre del 1979, con la regia di Giorgio De Lullo. I tre avevano già lavorato insieme nella sciolta Compagnia dei giovani che aveva visto per quasi un ventennio Patroni Griffi come drammaturgo di compagnia un ruolo che gli era stato riconosciuto non senza critiche.
Come per quelle precedenti scritte ad hoc per Valli e Falk anche per questa commedia Patroni Griffi lavora insieme a Valli cucendogli addosso lessico e battute che l'attore prova e corregge prima della loro stesura definitiva, tanto che Paolo Bosisio, nell'introduzione a Tutto il teatro edito da Mondadori (1999) più che di scrittura parla di trascrizione.
La commedia verte sul rapporto tra un uomo maturo, un apprezzato poeta che non scrive più da diversi anni, e un giovane appena uscito dall'adolescenza il confronto tra i quali sembra incentrarsi sulla parola, considerata dall'uomo (al quale Patroni Griffi non dà un nome chiamandolo semplicemente Lui) come strumento di rielaborazione del reale - in chiave privata e quasi elegiaca più che politica però - mentre il giovane (nella pièce indicato come Il Ragazzo) vuole prendere distanza dalle parole di Lui accusate di essere uno strumento per passare il tempo ma non per descrivere la realtà.
Questo confronto ha come contro-discorso sotterraneo il rapporto affettivo e sessuale tra due uomini elemento che, sorprendentemente, tutta la critica ha sempre tenuto tra parentesi menzionandolo per quel poco che il testo fa emergere della natura anche sessuale del loro rapporto, subito archiviandolo nella sfera privata della sessualità (la stessa che Lui pretende valga anche per Il Ragazzo quando lo sorprende a masturbarsi sul divano e non nel bagno come gli suggerisce).
Distratte dal confronto generazionale che rimane uno degli argomenti centrali della commedia ma non certo l'unico, la critica e la stampa non si sono mai accorte dei temi sotterranei fortissimi che percorrono tutto il testo e che qui possiamo solo sommariamente indicare: la critica alla famiglia borghese che non prevede (siamo nel 1979) l'opzione omoerotica; l'omosessualità vissuta come incontro sessuale privato mai vissuta alla luce del sole e non solo per pressioni sociali esterne; la ricerca da parte di un uomo non più giovane della compagnia giovanile per rivivere suo tramite la gioventù perduta (un tema che, nello stesso anno, un altro drammaturgo e regista cinematografico, Franco Brusati, aveva affrontato nel suo film Dimenticare Venezia).
Oltre o prima della parola, che smarca due generazioni diverse e contigue, il tema nascosto della commedia è senz'altro l'anaffettività del maschio che rimane immutata nonostante il cambio generazionale.
Una affettività che non trova mai modo o perchè nascosta e riconosciuta come tale solo nel ricordo di una mancanza nell'avanzata maturità (Lui che ha abbandonato moglie e figli per vivere con Il Ragazzo) o perchè vissuta con la paura che il sentimento si traduca in un impegno borghese che induce il ragazzo a sottrarsi a qualunque relazione interpersonale e a lasciare anche Lui.
Per comprendere davvero Prima del Silenzio bisogna dare giusto peso anche al contesto storico in cui la commedia è nata la fine di un decennio dove l'eco del 77 (la coda di fuoco di una rivoluzione politica e culturale iniziata nel 1968 incancrenitasi in un uso della violenza che non ha pari nella storia del nostro Paese) sta già lasciando posto a quel ritorno al privato che segnerà gli anni 80 edonisti e disimpegnati.
La domanda del maggiordomo (uno dei tre personaggi che vien a far vista a Lui) quel giovane è un violento? la si apprezza veramente solo se si ricorda la cronaca nera che ha afflitto tutto il decennio con una angoscia di cui oggi abbiamo perso ogni memoria.
L'attualità di questa commedia consiste più che nel confronto tra due generazioni successive e diversissime nel contrasto tra la norma eterosessista (borghese e capitalista) rappresentata dal passato di Lui, così come emerge dai tre personaggi che vi provengono, la Moglie, il Maggiordomo e il Figlio, che lo vengono a trovare, e una antinorma omoerotica vissuta diversamente dai due uomini.
Mentre Lui è abituato a coltivare di nascosto un sentimento per i ragazzi dissimulandolo in una sessualità relegata nel privato della camera da letto, Il Ragazzo abdica al sentimento ostentando una sessualità disinvolta che non attecchisce in nessuna relazione interpersonale concreta.
L'approccio al testo di Fabio Grossi cerca di coniugare l'afflato poetico del testo (il suo impianto linguistico felicissimo e poetico che culmina nel bellissimo monologo-poesia del finale) con un gusto contemporaneo che però non riguarda l'esegesi del testo ma si limita all'impianto scenografico. Impiegando le quinte come schermi da proiezione, compresi alcuni velatini che vengono calati dall'alto, Grossi affoga il testo in una sequela di immagini didascaliche che sostengono le parole dei due protagonisti (quando, nel primo quadro, Lui parla di un'isola dove, da giovane, praticava nudismo, vengono proiettate le immagini di un isola ripresa da un satellite; quando i due protagonisti si immaginano di navigare sul mare, onde di varia dimensione vengono proiettate sovrastandoli, etc.) tradendo il timore che il testo da solo non basti a evocare quelle immagini, misurando così involontariamente lo scarto tra un gusto per il teatro di parola che trent'anni fa era capace di regalarci testi di così straordinaria eleganza che la fatica che oggi facciamo a seguire e ad allestire quel tipo di teatro e di testo.
Un impianto scenografico allestito per alleggerire una struttura narrativa (che oltre ai dialoghi presenta anche molti criptomonologhi) ritenuta troppo verbosa (e infatti il testo è presentato con diverse tagli) che non viene usato mai in maniera narrativa (magari mostrando i titoli dei giornali dell'epoca che riportavano i continui delitti tra militanti di destra o di sinistra...) ma sempre e solamente con una funzione esornativa.
L'idea di far apparire in video i tre personaggi che vengono a trovare Lui pur funzionando da un punto di visivo, grazie alla possibilità di amplificare i dettagli del corpo (la testa di Paola Gassman che interpreta la moglie, ingigantita dal primo piano in videoproiezione sovrasta letteralmente la figura di Lui) o moltiplicarlo (ancora la figura della moglie che appare contemporaneamente su più punti delle quinte usate come schermo), mostra dolorosamente il suo limite quando Lui intesse con loro dei dialoghi, ottenendo più che l'impressione che quei personaggi siano, come si vorrebbe, una emanazione della sua mente (o della sua coscienza), un senso di faticosa artificiosità nel relazionarsi di un attore in carne ed ossa con l'immagine in movimento di un attore, di un'attrice, registrate e videoproiettate, cancellando ogni loro credibilità e qualunque sottotesto quei personaggi potevano portare.
Leo Gullotta si confronta con un ruolo difficile cavandosela più che dignitosamente ma il registro che la regia sceglie per sviluppare il suo personaggio, quello di un uomo non più giovane ormai stancato dalla vita, è ben diverso dall'autorevolezza con cui, nel testo, Lui reagisce alle continue critiche e lamentazioni de Il Ragazzo contro il suo continuo parlare.
Eugenio Franceschini, di una bellezza così autentica che distrae, ha una recitazione troppo accademicamente impostata per restituire con credibilità il tormento interiore dell'esponente di una generazione che vive con frustrazione la propria incapacità di usare le parole bene come quella precedente, cercando di trasformarla in un vantaggio politico.
Il suo generoso nudo frontale, per quanto piacevole da vedere, snatura la scena originale che vede Il ragazzo togliersi l'accappatoio e vestirsi davanti Lui.
Grossi, nel mostrarcelo mentre si fa la doccia, dietro il solito velatino sul quale viene proiettato un getto d'acqua, fa perdere ogni giustificazione narrativa alla nudità sbilanciandola troppo verso il voyerismo.
Andrea Giuliano, che interpreta il figlio di Lui, ha un atteggiamento troppo mesto e ossequioso, più da pretino che da giovane ventenne non brutto come suo padre sostiene come informano le didascalie (ricchissime di commenti extratestuali) snaturando con la sua interpretazione, la cui responsabilità più che sua è della regia, l'affetto sincero che il ragazzo ha nei confronti del padre (ne ha curato l'edizione critica delle poesie che hanno anche ricevuto un premio), padre che il giovane dice di rispettare, ora che l'uomo ha
avuto il coraggio di sottrarsi alle convenzioni borghesi, essendolo venuto a trovare per chiedergli
conto del suo affetto per Il Ragazzo (Lo amate, e se lo amate, perchè? O, per caso, semplicemente, vi serve? gli chiede) affetto che lui non ha mai ricevuto...
Eppure nonostante una regia non proprio felice, il testo di Patroni Griffi riesce lo stesso a raggiungere il pubblico e ad esercitare su di lui tutto il suo fascino, intellettuale ed emotivo, per cui questa messinscena di Prima del Silenzio merita davvero di essere vista, risultando godibile nonostante tutto.
Prosa
PRIMA DEL SILENZIO
Una messinscena non proprio felice
Visto il
22-10-2013
al
Eliseo
di Roma
(RM)