Prosa
PROMETEO MALE INCATENATO

Prometeo male incatenato è un…

Prometeo male incatenato è un…
Prometeo male incatenato è una libera variazione sul mito di Prometeo, l'archetipo dell’individuo in lotta contro il potere, scritto nel 1899 da André Gide (1869-1951) testo col quale approda a una piena maturità letteraria. L'audacia della trasposizione è chiara sin dall'apertura del racconto (il Prometeo non nasce come testo teatrale, anche se è stato portato sul palcoscenico innumerevoli volte) che vede Prometeo giungere tra i boulevard parigini in un ristorante dove si mangia malissimo ma si fa conversazione. Prometeo si siede ad un tavolo con Damocle e Coclide serviti di tutto punto da un cameriere. Il primo mal sopporta di avere ricevuto da un anonimo un biglietto da 500 franchi e non sapendo se restituirlo o donarlo a un vero bisognoso, lo porta sempre con sé; il secondo, dopo aver restituito il fazzoletto ad un signore che lo aveva perso, si è visto prima chiedere di segnare su di una busta il nome di una persona, e poi ricevere un sonoro ceffone... I due sono "vittime" di un eccentrico miglionario, amico del cameriere, che si scoprirà essere Zeus, il quale cerca in questo modo di compiere un atto gratuito: dare dei soldi a qualcuno che non conosce, visto che non è lui indicare il beneficiario, e dare un ceffone a qualcuno che non ha scelto lui, visto che è il malcapitato a scegliere autonomamente di raccogliere e restituire il fazzoletto fatto cadere appositamente. Quando Prometeo chiama la sua aquila che si nutre del suo fegato dà scandalo. Damocle ne approfitta e paga il conto (compresa la vetrina rotta dall'aquila). Arrestato come venditore abusivo di fiammiferi Prometeo nutre l'aquila col proprio fegato finché, da malnutrita e brutta qual era, l'aquila diviene maestosa e bella e Prometeo piccolo piccolo di modo che l'aquila può liberarlo trasportandolo in volo. Così liberato Prometeo organizza una conferenza nella quale esorta tutti gli uomini a nutrire e amare la propria aquila. Il discorso ha un effetto devastante su Damocle, che morirà roso dal rimorso di aver pagato il conto con la banconota da 500 franchi illusosi così di essersi disfatto del suo debito. A nulla valgono le esortazioni di Prometeo fatte al miglionario questi non vuole farsi conoscere e Damocle morirà ignaro del suo benefattore. Al funerale di Damocle Prometeo dirà di avere ucciso la propria aquila e se ne nutrirà condividendo il pasto con Coclide e il cameriere. Della bellezza dell'Aquila sono rimaste solo le piume. Questo, per sommi capi, l'intreccio, surreale, dissacratorio, ricco di felici intuizioni narrative del testo. E' chiaro l'intento satirico in questo racconto bizzarro, una critica al moralismo dell'uomo che nutre la propria coscienza (l'aquila) insistendo morbosamente ad ascoltarla anche se ciò mette a rischio la sua stessa esistenza. La soluzione che sembra suggerire Gide, però, non è il rinnegamento della coscienza. La coscienza va ascoltata, seguita e coltivata, basta essere sufficientemente forti, e accorti, da saperla uccidere al momento giusto. La liberazione dunque non è un diniego della morale ma un suo superamento. Se si pensa che Gide era omosessuale, in una società maschilista e omofoba, si capisce ancora meglio il senso profondo della sua etica politica. La trasposizione teatrale proposta dall'associazione culturale T.I.L.T. rimane molto fedele al carattere affabulatorio del testo (sviluppato molto sui dialoghi con pochi commenti del narratore) costringendo gli attori, tutti giovani, a uno sforzo mnemonico-recitativo complesso dato che il testo intraprende anche la strada delle dissertazioni funamboliche (una per tutte l'incipit del primo discorso di Prometeo: Signori, per quanto si faccia , non si potrà mai fuggire alla petizione di principi. Che cos'è dunque una petizione di principi? Oso affermare, signori, che una petizione di principi è un'affermazione di temperamento; perché è proprio laddove mancano i principi che si afferma il temperamento.1). La restituzione fedele del testo vine resa con un allestimento scenico straniante e astratto come viene spiegato nel programma di sala: Non si costruiscono scene, ma vengono elaborati spazi possibili, che l’attore possa abitare allontanandosi dalla verosimiglianza e dalla rappresentazione, utilizzando piuttosto l’arma del paradosso, del ribaltamento, della metonimia. Luoghi che costringono ad un esercizio di immaginazione perché possano prendere vita e raccontare una storia. I cinque attori si avvicendano sul palco nel quale campeggia un basso parallelepipedo di legno nero montato su ruote dal quale vengono estratti dei cubi neri che, di volta in volta, vengono assemblati per realizzare un podio, un letto, un tavolo, le mura di un carcere, o per mostrare la scritta che annuncia la conferenza di Prometeo (riprendendo la grafica del libro, nel quale l'annuncio è portato da un uomo sandwich), orientando la scenografia a seconda delle esigenze, sfruttando i vuoti lasciati dai cubi estratti come buche di scena, sedie o parte della cella in cui viene rinchiuso Prometeo. Semplice ma efficace, anche, la soluzione scenica per rappresentare l'aquila, la cui voce registrata (male), è quella di Terry Paternoster, non mostrandola mai direttamente ma sempre tenuta dentro una scatola che diventa più grande man mano che l'aquila, pascendosi del fegato di Prometeo, si fa più grande e più bella. Uno sforzo notevole per una produzione economicamente modesta, ma efficace e per niente manchevole, di Pierfrancesco Pisani, mentre la regia delicata e onirica (di Silvio Peroni) restituisce egregiamente quel senso di surrealismo irriverente che caratterizza il testo alla quale pecca solo un'incertezza nell'impiego delle musiche (originali) troppo insistite in alcuni momenti e completamente assente in altri. Molto efficaci gli attori nel caratterizzare i vari personaggi dal Damocle di Mario Marascio, che nel finale ricorda un po' la maschera comica di Totò, a Coclide (Massimiliano Buldirini) che ha le sembianze di un uomo fin de siècle, il sussiegoso cameriere (Filippo De Toro) ipocritamente amichevole (è lui a denunciare Prometeo e farlo finire in galera), al magnanimo Zeus (Mirco Pisano) mentre qualche perplessità la induce Giovanni Vaccaro nel ruolo di Prometeo, il cui incedere è troppo vago e a tratti sottotono rispetto quello dei suoi compagni più inclini a recitare un tipo, mente Giovanni rimane un po' troppo se stesso, una scelta voluta sicuramente dalla regia, ma a nostro avviso non completamente risolta, o chiara negli intenti. Così come, a essere pignoli, manca agli attori la dovuta disinvoltura e scioltezza nel muoversi sul corpo scenografico, soprattutto all'inizio. Prometeo male incatenato è comunque uno spettacolo riuscito, piacevole da vedere, per il quale ci si rammarica solo della brevità delle repliche al Piccolo Re di Roma, dove è in scena fino al 19 di ottobre, anche se verrà ripreso dall'11 al 16 novembre al Teatro La scatola, sempre a Roma. Ci si rammarica perché lo sforzo degli attori, della regia e della produzione (di Pierfrancesco Pisani) va premiata con un flusso costante di spettatori come solo una programmazione più estesa può garantire (ma forse no). Prometeo male incatenato Roma, teatro Piccolo Re di Roma fino al 19 ottobre e dall'11 al 16 novembre al Teatro La Scatola 1 André Gide Prometeo male incatenato traduzione di Giuseppe Pintorno, La vita Felice, Milano 1994 testo francese a fronte, p. 67
Visto il
al TeatroInScatola di Roma (RM)