Prosa
PROVA A CHIAMARMI

Roma, teatro Piccolo Eliseo, …

Roma, teatro Piccolo Eliseo, …
Roma, teatro Piccolo Eliseo, “Prova a chiamarmi” di Pino Quartullo E’ MEGLIO NASCONDERSI O PIUTTOSTO AFFRONTARE DIRETTAMENTE GLI ALTRI? Il telefono è il protagonista assoluto del film delizioso, amaro ed arguto “Hallo Denise” dell’esordiente Hal Salwen, presentato a Cannes nel 1995. Insieme alla solitudine. Cordless o con filo, cellulare o segreteria telefonica, avviso di chiamata e chiamata in attesa, funzione conference o modem: la vita letteralmente appesa al filo. Del telefono. I protagonisti sono prigionieri volontari (ma anche involontari) della comunicazione via cavo, non si presentano ad appuntamenti, feste e funerali, nonostante assicurano sempre la loro presenza, vivono al telefono le emozioni della vita: un parto e la paternità, il corteggiamento ed il rimpianto per le storie fallite, le delusioni e le gioie, i lutti e le feste natalizie. Ci si parla, ci si ama, si fanno progetti, si organizzano feste, si nasce e si muore al telefono. Insomma il film racconta una favola moderna sulla vita e sull’amore, entrambi rigorosamente al telefono, senza il bisogno (né la possibilità) di incontri personali. Dunque una riflessione inquietante sullo stile di vita di alcune persone. E sull’alienazione. Infatti tutti nel film sono disperati per la propria solitudine, si giurano l’uno con l’altro eterni e potenti sentimenti, concordano sulla assoluta ed improcrastinabile necessità di incontrarsi… ma non si incontrano mai, sostanzialmente per la paura di incontrare l’altro, poiché la mancanza di tempo è una vuota scusa. E, a ben vedere, quanto spesso tutto questo succede nella vita reale! Tanto per cominciare l’incomunicabilità, che nel film blocca le persone a casa e non le fa mai incontrare, nella vita quotidiana è protagonista come inespressività dei sentimenti. Più che incapacità di provare sentimenti, manca il coraggio di affrontarli e di viverli. Prendiamo una coppia, ad esempio, una qualsiasi. Lui è innamorato di lei. Lei non sa (o non gli fa capire) se sia o meno innamorata di lui. Però lei non lo molla, è sempre gentile, lo cerca, lo tiene insomma sul filo (non solo del telefono). Lui è confuso. Prima pensa che lei sia solo una piccola passione, cerca di staccarsi da lei per affrontare il problema serenamente e non troppo coinvolto né mentalmente né sentimentalmente. Ma è troppo tardi. Un lungo weekend passato con un amico a parlare lo aiuta a capire che è davvero innamorato. E allora lo dice apertamente a lei: sono innamorato di te. E lei che fa? Prende ancora tempo, ovviamente, dicendo che non si sente pronta, che i rapporti precedenti l’hanno segnata, che non vuole rovinare il rapporto che c’è ora per qualcos’altro che forse fra un mese non ci sarà più!! Io credo che lei sia tremendamente scorretta, perché preferisce nascondersi piuttosto che affrontare direttamente la questione: o lo ama (e allora inizia una storia con lui) oppure non lo ama (e allora saranno sempre e solo amici, lui può mettersi l’anima in pace e “trasformare” il sentimento che prova da amore in embrione in una bella e calda amicizia). Perché dunque non prendersi le responsabilità di un rapporto (di qualsiasi tipo, che coinvolga anche un’altra persona, amore o amicizia che esso sia)? Perché nascondersi, approfittando del sentimento dell’altra persona? Ebbene, io non vedo alcuna differenza tra la storia che ho inventato a titolo esemplificativo (e che oggi potrebbe accadere a chiunque) ed il senso di Hallo Denise, nella totale incapacità di vivere apertamente la propria vita ed i propri sentimenti, nella difficoltà di affrontare direttamente l’altro. Chiudendosi a casa. O ingabbiandosi nella mancata partecipazione dei sentimenti. Hallo Denise è stato trasposto sul palcoscenico dal talentuoso Pino Quartullo con il titolo “Prova a chiamarmi”. Del film rimangono la mancanza di tempo, il senso di incomunicabilità e di solitudine estrema. Rimane soprattutto il vasto campionario delle più comuni patologie, sempre più diffuse, anche se i personaggi sono stati adattati alla realtà romana, ma sempre connotati da una forte solitudine, incapaci di entrare in contatto con chi è loro vicino. Ed è proprio grazie alla comunicazione fredda ed impersonale che corre lungo il filo del telefono che ciascuno vive l’amore, il lavoro, l’amicizia, il sesso addirittura: tutto è più facile senza gli occhi dell’altro davanti, soprattutto se particolarmente espressivi e soprattutto se la voce dell’altro, unico elemento di comunicazione rimasto, è altrettanto confortante ed espressiva. Infatti la mancanza di tempo è sempre più un problema per tutti, anche nell’esprimere i sentimenti, ed è evidente che il miglioramento dei mezzi di comunicazione è direttamente proporzionale alla degenerazione della nostra capacità di comunicare. Come è evidente la mancanza di coraggio nell’affrontare ogni situazione, dal lavoro ai sentimenti, dall’amicizia all’amore. La commedia si apre, come il film, con una festa a cui nessuno ha partecipato e va avanti, di conversazione in conversazione, con la protagonista che è rimasta incinta mediante l’autofecondazione ed è riuscita a contattare l’anonimo donatore. Lo spettacolo ha in più momenti musicali che potevano essere tranquillamente evitati (anzi, dovevano), come il personaggio eccessivo e di carattere troppo marcato della cugina Olga. Nei panni dei protagonisti uno stuolo di giovani attori, belli, simpatici e bravi, del nuovo cinema italiano: Karin Proia (che pur frequentando un corso di autostima non riesce ad avere fiducia in se stessa ed avrà una storia con un uomo senza mai incontrarlo), Elisabetta Rocchetti (la donna incinta), Fabio Troiano (“alcolizzato da lavoro”, il padre inconsapevole), Enrico Ciotti (l’innamorato deluso ma al tempo stesso l’amico sempre presente, il ruolo più bello del film purtroppo poco incisivo a teatro), Claudine Campoli (la prodiga amica, che tiene contatti con tutti ma la cui morte non riesce a smuovere nessuno), Giorgia Flora (la single che si circonda di piccole cose cercando di dare un senso alla sua disperata solitudine), oltre Margherita Massicci e Paolo Orlandelli, quasi tutti sempre contemporaneamente in scena. Con loro aitante, simpatico e bravo Pino Quartullo, anche regista e sceneggiatore. Bella la scena, sezionata in sei parti, a simulare una serie di gabbie delimitate da fasci di luce. Mantenuto il lieto fine, con la coppia che si avvia la notte di Natale insieme alla neonata. Insomma, bisogna sempre affrontare direttamente gli altri, mai nascondersi. Con coraggio. E passione. Fino in fondo. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Roma, teatro Piccolo Eliseo, il 13 aprile 2005.
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