Ritorna la premiata ditta Albanese-Serra con un altro capitolo della saga “Psicoparty”. Richiamato a gran voce dai suoi fedelissimi ma anche dagli aficionados meno esaltati, Antonio Albanese riprende in mano i soliti cavalli da corsa: fobie, paure, nevrosi, credo, verità e bugie della società di oggi. Fantini d’eccezione, i personaggi resi celebri dal comico e le facce sbigottite dell’Albanese più amato in Italia (e che rarità, oggi!).
Passando con nonchalance dal calabrese al milanese (tanto che ti chiedi quale sia davvero la sua origine), Albanese conferma che “squadra che vince non si cambia”: riunisce lo staff di “Giù al Nord”, (ossia Michele Serra, Giampiero Solari, Piero Guerrera ed Enzo Santin) e porta sul palco, con lui, Teo Ciavarella al pianoforte e Guglielmo Pagnozzi al sassofono, ottimi nel creare intermezzi musicali di contorno e di spiazzamento emotivo.
Apertura classica e partono a razzo le risate: “E’ un gran bel mondo, è una gran bell’Italia”. Da ridere in effetti ci sarebbe ben poco, ma comunque serve a sciogliere il ghiaccio e a ricordare agli astanti quale sarà il filo conduttore delle due ore successive. Coup de théatre: la finta serenità del rallegramento italico si infrange su una misteriosa valigia rossa abbandonata sul palcoscenico. Parte la prima nevrosi/fobia: sarà una bomba? Meglio chiamare il numero emergenze. Peccato che siamo in Italia: anche il numero emergenze diventa una barzelletta, tra attese infinite e sarcasmo a go-go, con Amedeo Minghi che riacciuffa i suoi cinque minuti di celebrità.
A tranquillizzare ironicamente gli animi arriva il “Ministro della Paura”, armato dei suoi famigerati telecomandi: tre bottoni, tre colori, tre gradi di paura, dei quali la più temibile è la “Paurissima”. E lui, grottesco Matrix dalle strane pulsioni, governa gli esseri umani, inconsapevoli vittime alla sua mercè. E’ lui il Fantino n°1 dello spettacolo, colui che porta alto e scolpisce il messaggio così duro, ma così vero che “una società senza paura è una società senza fondamento”.
Politica e politicanti. Dall’alto del suo seggio riappare Cetto La Qualunque, politico locale che ha corrotto anche la lingua italiana: al ritmo dei celebri infattamente, sempremente, qualunquemente, Cetto arringa contro gli avversari, promettendo “cchiù pilu pè tutti”. Al di là dell’assurdo motto che confonde il PIL con il pilu, non v’è dubbio che una vera candidatura di Cetto riscuoterebbe una pioggia di voti: ‘u pilu è la grande passione degli Italiani, a giudicare dalle risate in sala.
Non manca Perego, l’imprenditore brianzolo che odia i cinesi (che alla fine gli comprano cash capannone e società!) e non manca nemmeno il dolce Epifanio che ha paura della felicità, accompagnato dall’immancabile e amata piantina Valeriana. Chiude Alex Drastico, vero o presunto, ma sempre molto amato.
Uno spettacolo che scorre, nonostante non sia più originalissimo. Ancora ottimo, comunque, il responso del pubblico con tanti, meritati applausi.
Milano,
teatro Smeraldo,
15 aprile 1007
Visto il
al
Smeraldo
di Milano
(MI)