Prosa
PUSH UP (SPINTARELLE)

Spingiti tu che spingo anche io!

Spingiti tu che spingo anche io!

Il Teatro Filodrammatici di Milano apre la stagione con la pièce del drammaturgo tedesco Ronald Schimmelpfennig dedicata a tutti coloro che passano la loro vita in ufficio e tornano a casa per riflettere sulla giornata lavorativa appena trascorsa e per prepararsi per quella successiva.

A giudicare dai volti degli spettatori all’uscita dopo la prima, la maggior parte di loro avrebbe potuto salire sul piccolo palco del Filodrammatici e raccontare una storia simile a una delle tre presentate in serata (compresa quella suicidale).

Non c’è nulla di strano in tutto ciò. L’ufficio ormai da tempo è diventato il campo d’azione di moderne tragedie, drammi e commedie. Mentre TV e cinema l’hanno capito ormai da tempo,  il teatro per lo più continua a rimanere restio verso tutti quegli abitanti degli "open space", troppo banali rispetto a soggetti come padri incestuosi, figlie prostitute, preti pedofili da una parte e principi danesi, reali spagnoli e britannici o a eterni innamorati dall’altra. In realtà, lo spettatore di oggi, nel suo quotidiano, ha davvero raramente a che fare con i rampolli reali o con i brutali stupratori, a differenza di colleghi e superiori, con i quali è costretto a condividere lo spazio vitale ogni santo  giorno. Per questo “Push Up” vale la pena di essere visto da tutti quelli che vogliono veramente sapere come vivono i nostri contemporanei, che cosa pensano di se stessi e della vita in generale i vicini di “cube farm”, ovvero del serraglio dove però nessuno  morde l’altro o si appiglia. Il luogo dove tutti sono addestrati alle buone maniere, ma dove la sofferta benevolenza e gli scintillanti sorrisi nascondono l’aggressività e le amichevoli strette di mano celano odio e disprezzo. E dove, naturalmente, tutti sono dominati dagli impulsi sessuali, seppur, stando a quanto dice Schimmelpfennig, tutti lo pensano, ma nessuno lo fa.

A dispetto del titolo ingannevole, non è uno spettacolo sul sesso. Completamente distaccato dagli psicologismi sensualistici, “Push up 1-3” è un testo puramente sociale. Non a caso Fornasari l’ha scelto per la sua rassegna Business in Business. Certamente,  i rapporti tra gli individui vengono vagliati attraverso i loro caratteri e i loro destini, tuttavia quel che interessa davvero il drammaturgo non sono i “sapiens” come tali, ma le loro funzioni sociali le quali, secondo i molti autori progressisti, determinano l’esistenza dell’uomo moderno.  In più non è un testo che riguarda gli strati bassi della popolazione con le loro sofferenze, ma il circolo dei dirigenti, uomini e donne che fanno business e ambiscono di raggiungere la cima (leggi: il sedicesimo piano). Un luogo sobrio e poco attraente, a quanto pare: due scrivanie bianche, due sedie e l’indispensabile in questi casi caffettiera.  In fondo al palco una modernissima parete divisoria - tipica nell’ufficio di una qualche multinazionale - dotata di un mega schermo sul quale proiettare  le tabelle e i grafici con i risultati raggiunti oppure le immagini delle teleconferenze (scenografia di Erika Carretta).         Eppure la sua essenzialità geometrica non spaventa i pretendenti al posto in alto ed è qui che accadono le battaglie più crudeli. Senza sangue pero. Nessuno qui usa coltelli o diretti e montanti. Per ottenere l’agognata promozione preferiscono sicuramente aggiungere del veleno nel caffè e poi attendere pazientemente l’agonia del o della rivale.

Anche l’opera teatrale stessa è strutturata con un rigore matematico. Ha tre quadri, ognuno dei quali rappresenta un duello a due, dove si intrecciano i dialoghi e i monologhi interiori dei protagonisti. Il primo è un incontro al femminile, tra la businesswoman Angelica (Emanuela Villagrossi) e la junior manager Sabina (Vanessa Korn). Malgrado la differenza d’età e di posizione all’interno dell’azienda, sono  molto simili tra loro in gusti, ambizioni e insicurezze. Le due si accapigliano con l’intenzione di rivendicare la propria superiorità sull'altra. Angelica accusa Sabina di avere una relazione con il proprio compagno nonché il capo di entrambe - un certo Kramer, l’invisibile megaboss intorno al quale ruotano le trame di tutti e tre gli episodi. Anziché negarla, Sabina preferisce riconoscere la falsa accusa ed essere licenziata, sottolineando in tal modo davanti alla rivale la propria attrazione erotica.  Il secondo è misto. Patrizia (Marta Belloni) e Robert (Tommaso Amadio) entrambi sono giovani e promettenti specialisti: “competitivi, flessibili, innovativi”. Dopo un breve e intenso coito durante un party aziendale, radicati nel loro orgoglio, preferiscono sacrificare i loro sentimenti pur di non cedere l'uno all'altra.  Il terzo è tra i due maschi. Hans (Michele Maccagno) e Frank (Michele Di Giacomo), che, aspirando a un posto di rilievo nella filiale di Delhi, provano sulla propria pelle la spietatezza della selezione. Hans - più anziano, che passa le sue tristi serate e le sue domeniche solitarie pedalando sulla cyclette – per quanto capace e competente, perde il confronto con il suo giovane sottoposto Frank – fortemente dipendente dai siti porno. L’intera composizione è contornata dai monologhi di due vigilanti:  il primo - che funge da prologo - è di un uomo (Michele Maccagno), il secondo - una specie di epilogo - è di una donna (Emanuela Villagrossi). A quanto pare, sono le uniche persone di tutta l’azienda, se non propriamente felici, almeno libere da queste asfissianti dinamiche: spettegolano a proposito dello spot pubblicitario della ditta dove lavorano, guardano di nascosto la televisione…

Bisogna ammettere che, nonostante il materiale drammaturgico non particolarmente vincente – un'asciutta e abbastanza piatta pièce tedesca – i creatori dello spettacolo siano riusciti a farla sembrare se non del tutto, ma almeno in parte, umana. Malgrado tutta la loro antipatia, i personaggi riescono comunque a suscitare la compassione. Sicuramente non per le loro peripezie sessual-amorose, che, in realtà, rappresentano soltanto lo sfondo della loro brutale battaglia per la promozione, ma per l’orribile vuoto che li avvolge non appena abbandonano il loro ring. Vivere con questo vuoto è doloroso se come loro non si ha nulla con cui riempirlo.

Visto il 09-10-2012
al Filodrammatici di Milano (MI)