La parete a vetri di un elegante salotto affaccia su un parco. Un albero affonda le radici nel mondo esterno e protende verso la dimora i rami dai quali cadono le ultime foglie dell’autunno. La celebre coppia di scenografi Licheri e Cappellini e le ballate di Patty Smith, Lou Reed, Leonard Cohen hanno splendidamente incorniciato l’atmosfera di decadentismo beat disincantato, lucido, mediato dall’intelligenza propria di chi ha assorbito le energie elargite dalla vita, fossero opportunità oppure conti da pagare. Nella consapevolezza che “Qualcosa rimane”, sempre, e tutto vale la pena di essere vissuto.
Nel buen retiro dove la famosa scrittrice Ruth Steiner (Monica Guerritore) si è creata un angolo di intimità quasi ascetico, le lettere si ammonticchiano non aperte e il telefono squilla senza ricevere risposta. Irrompe la giovane Lisa Morrison (Alice Spisa) avida di insegnamenti e di successo. La commedia di Donald Margulies tratteggia nettamente i personaggi benché si dipani con prevedibile consequenzialità, che la raffinata regia (sempre di Monica Guerritore) ha tramutato nell’opportunità di imprimere una cadenza ciclica, un moto rotondo ed elegante.
Il rapporto Eva contro Eva è profondo, conflittuale e mutante: amore/odio tra insegnante e allieva, tra madre e figlia adottiva, tra compagne che si abbandonano a un bacio saffico. La giovane Lisa prende a poco a poco il posto dell’adulta, riordinando la scrivania secondo le proprie priorità, comperando e cucinando i cibi a sé graditi, vestendosi a fotocopia, fino a rubare a Ruth i sentimenti più intimi risalenti agli anni in cui quest’ultima frequentava gli esponenti della Beat Generation ed era legata affettivamente a Delmore Schwarz. La confidenza svelata in un momento privato, verrà da Lisa trafugata e sbattuta sotto i riflettori mediatici in un libro falsamente autobiografico.
Ma, dice l’autore, anche se la nostra esistenza ci viene sottratta, qualcosa di essa è comunque destinato a restare, anche in chi ha compiuto il furto. Ciò che sembra parassitismo endofago, in realtà è simbiosi mutualistica. Un’interazione biologica tra la sventata adrenalina della gioventù e il raziocinio della maturità. Le due donne si alimentano bulimiche l’una dell’altra, come fanno nella terra le propaggini dell’albero che occhieggia dalla finestra. Per Margulies “la giovinezza accentua la forza centrifuga della vita e ci si trova schiacciati ai bordi”. Ruth viene tradita da Lisa, così come in passato ha patito l’infedeltà dal suo grande amore, ma non si fa tradire dalla vita, nemmeno quando questa le riserva una malattia incurabile che viene metabolizzata come una fase, accettata come un obolo da versare serenamente per aver avuto tanto.
Alice Spisa ha stupito per la vastità della gamma espressiva e ha retto egregiamente il temibile confronto con il “mostro sacro”. Monica Guerritore ha regalato una prova attoriale di toccante intensità sempre venata da sapiente levità; così come leggero e raffinato è stato il ritmo della sua regia, giostrato su un intrigante gioco di rimandi, di specchi, esordito da Margulies per poi espandersi. Le scrittrici smettono di inventare storie e mettono su carta la propria storia vera, che la critica letteraria può lusingare o stroncare. Il parallelo con la realtà dell’ambiente teatrale, con i sentimenti che fanno parte del vissuto di Monica e Alice, è stato sottilmente suggerito, senza invasività, con intuizione felicissima.
La voce di Guerritore/Ruth è risuonata alternativamente tra la tangibilità della naturalità e la lontananza di una registrazione. Poi Ruth è scesa in platea, interponendo il vuoto necessario a fare una sfuriata a Lisa e di contro a bypassare il distacco fisico della morte imminente. Ciò ha al contempo permesso all’interprete/regista Guerritore di estraniarsi dal palcoscenico e osservare quel mondo dall’esterno, salvo continuare a interagire con esso, a dettare le proprie regole, a farne parte sia pure a distanza. In fin dei conti, ogni ruolo per un attore coincide con una fine e con una rinascita: è un qualcosa di nuovo che cresce e rimane dentro.
Il senso dello spettacolo era compendiato in una scena svolta dopo gli applausi conclusivi, quando le due hanno accennato a un giro di valzer, ruotando l’una attorno all’altra. Cosa è rimasto? È sopravvissuta la forza, che Guerritore da centrifuga ha elevato a centripeta, insita nel suggere linfa rinverdente da chi ci sta intorno, da chi ci ha preceduto e da chi ci seguirà.