Prosa
QUARANTA... MA NON LI DIMOSTRA

Il tempo della felicità

Il tempo della felicità
«C'è un tempo per ogni cosa», ammonisce austero un celebre passo dell'Ecclesiaste -e pure per maritarsi…- verrebbe da dire, scendendo prosasticamente di tono, a commento di Quaranta…ma non li dimostra!: un' intramontabile commedia di Peppino e Titina De Filippo, scritta nel 1933, e ambientata in un dopoguerra di cui questo allestimento del teatro ABC riproduce con cura i dettagli, fin nella scelta dei costumi di scena. La situazione di partenza è topica: una donna non più giovane, non tanto per limiti oggettivi d'età -quei quaranta ancora considerati uno spartiacque invalicabile- quanto a seguito di trascuratezza personale e logorio esercitato dalle condizioni di vita, ha sacrificato se stessa per i familiari, padre vedovo e sorelle, assumendo su di sé il ruolo gravoso di 'angelo del focolare', dimentica di ogni piacere o vezzo femminile e del tutto assorbita dal ricordo della madre scomparsa. Per questa sua abnegazione, Sesella -questo il nome della protagonista, interpretata da un'efficace Federica Bisogna- è diventata la benvoluta del padre Don Pasquale, un istrionico factotum, qui nelle fattezze di Enrico Guarneri, sempre all'opera nel (maldestro) tentativo di tessere le fila della vita familiare. La svolta giunge quando Sesella, fino a quel momento unica fedele esecutrice dei seriosi precetti morali paterni, si trova, ormai sfiorita dagli anni, a provare per la prima volta un'emozione, un vago sentimento amoroso nei confronti di un ospite abituale di famiglia, tale Luciano Giacomelli. È il momento in cui la comicità brillante della vicenda rappresentata -comunque predominante nell'ordito complessivo- vira verso le tonalità sommesse di una malinconica riflessione sulle opportunità perdutesi nel tempo e non più ripercorribili. L'amabile goffaggine dell'inconsapevole Sesella, brutta e sgraziata, continuamente messa a confronto con la gioventù dorata vissuta dalle sorelle più giovani in tutto il primo atto, assume così i connotati del rimpianto amaro e induce per la prima volta Don Pasquale ad una revisione critica del proprio operato di padre, nel segno del pentimento per una linea educativa forse esercitata con eccessivo rigore sulla prediletta. - «Io ho fatto il padre, ma tu dovevi fare la figlia!» - sbotta nello sfogo con cui intende innanzitutto rimproverare se stesso ed addossarsi la responsabilità di una condizione senza via d'uscita. I successivi tentativi di risoluzione dell'impasse, al fine di portare a compimento il sogno d'amore di Sesella, offrono all'estroso Don Pasquale eccellente occasione per dispiegare tutte le armi della sua vis comica, secondo una espressiva rilettura in chiave linguistico-dialettale sicula. Uno scatenato Guarneri -come di norma in ogni suo spettacolo- impreziosisce il testo originale del copione attraverso una sequela di digressioni, gag, giochi di parole, motti e movenze, frutto di una maestria da cabarettista consumato (indimenticabile la celebre maschera di Litterio, con cui spesso il pubblico lo identifica) meditata attraverso il talento da attore. A fargli da spalla, in una sorta di one man show di cui l'attore adranita detta i tempi scenici, uno spassosissimo Vincenzo Volo, nei panni del genero Bebè, babbeo ma fedele, brontolone ma capace di sopportare senza troppe proteste la derisione e i maltrattamenti altrui. Forse dotato di una diversa e superiore saggezza al di là dell'apparente dabbenaggine, è proprio quest'ultimo a mettere in guardia il futuro suocero rispetto alle reali possibilità di poter combinare un matrimonio per la figlia, cui Don Pasquale è stato indotto da un improvvido malinteso. Ma i sensi di colpa, uniti al desiderio di recuperare il tempo perduto, premono affinché si celebri una sfarzosa festa di fidanzamento, che vedrà una Sesella completamente tramutata per opera del padre e artificiosamente preparata ad essere 'donna'. L'eccessiva aria di festa, come spesso accade nei lavori dei De Filippo (vedi Natale in casa Cupiello), prelude alla disfatta imminente. Che puntualmente arriva. E porta via con sé l'ultima residua illusione di potersi riappropriare del passato, dei bivi non imboccati, della vita che è scorsa prendendo strade impreviste. Offrendo però, in questo particolare riadattamento, anche la consapevolezza che se il passato resta immutabile, il nostro futuro può essere orientato, in prima persona, dalle scelte consapevoli ed aprirsi pure all'imprevisto, quel brivido dell'imponderabile che fa di ogni giorno una scoperta.
Visto il 04-12-2016
al Città della Notte di Augusta (SR)