Prosa
QUARTETT/LE RELAZIONI PERICOLOSE

Quartett

Quartett

In un ambiente apparentemente ospedaliero che potrebbe anche essere un bunker durante una guerra (non si sa se passata o futura), una raffinata donna con una camicia da notte elegantemente sexy e una parrucca settecentesca giace su un letto con una flebo nel braccio. Improvvisamente riprende a essere vitale ricordando con straordinaria forza il suo amante che comparirà di lì a poco.
Si tratta di due aristocratici (ex amanti) che durante i loro incontri si torturano con la memoria del passato invertendo i ruoli e assumendo ciascuno rispettivamente quelli degli altri due personaggi femminili coinvolti nei loro ‘giochi’.
Dialoghi che sono spade e coltelli che si lanciano reciprocamente in un mondo in cui gratta, gratta non è rimasto che il nulla, strada vuota verso la dissoluzione e la fine.
Il dramma-commedia in un atto, tratto dal testo di Heiner Müller (Eppendorf 1929-Berlino 1995) - considerato un grande drammaturgo e connotato da uno stile ermetico e franto - è ispirato a sua volta a Le relazioni pericolose (Les liaisons dangereuses, grande romanzo epistolare del 1782, scritto da Laclos) che racconta gli intrighi amorosi tra il visconte Valmont sedotto e irretito dalla crudele, spregiudicata ed efferata marchesa di Merteuil la quale lo spinge a fare cadere nelle sue grinfie la Volanges, una fanciulla timorata, e la Tourvell, splendida dama, fedele al marito.
Dopo un incipit coinvolgente (superba Laura Marinoni nella sua satanica e dura parte) in cui la marchesa confessa che in fondo l’ex amante è l’unico vero amore, i coltelli volano in modo esponenziale e i due protagonisti, oltre a scambiarsi i ruoli, iniziano il terribile gioco di trasformarsi nelle vittime sacrificali di questo perversa situazione.
E in tale nevrotico crescendo di scambio di ruoli e di logorroico fiume volto al massacro reciproco, a un certo punto salta fuori un fallo d’oro (decadenza dei Cresi contemporanei) orgogliosamente eretto.
Niente contro la rappresentazione del genitale maschile presente ab antiquo in tutte le culture, ma forse si comincia a risentire nel teatro di oggi di un overdose di sessualità perversa e deviata: se il Cristianesimo ha introdotto la vergogna delle normali pulsioni erotiche rispetto alla concezione latina secondo la quale il sesso era uno degli aspetti della vita per cui se ne parlava tranquillamente (quanti testi latini sono stati espurgati di sereni riferimenti al riguardo per la moralità di casti studenti), perché oggi dopo secoli di vergogna non ne torniamo a parlare come una delle positività e dei piaceri della vita?
E se rimane detestabile che a teatro giovani studenti chiacchierino o mandino mail durante lo spettacolo, come rimproverarli se nessuno ha insegnato loro che anche di fronte a una certa mancanza di appeal della pièce bisogna comunque rispettare il lavoro dell’attore.

Visto il 04-02-2014