Sciopero del sesso contro la violenza: si presenta così il musical di Gianfranco Gallo “Quartieri spagnoli”, produzione del Teatro Trianon, apertamente ispirata alla Lisistrata di Aristofane, della quale eredita l'idea nel momento in cui le donne napoletane della camorra negano le proprie prestazioni sessuali ai loro uomini, allo scopo di non generare altri camorristi predestinati. Inoltre, l'operazione viene dedicata, anche con un espresso richiamo didascalico iniziale, ad una delle vittime innocenti della criminalità, Gianluca Cimminiello.
Tali sono le premesse e le promesse;quello che segue però non mantiene lo stesso tenore, spostandosi in maniera poco chiara su diversi livelli di proposizione.
Anzitutto, ci si sarebbe potuti spingere anche oltre, poiché Lisistrata ed il suo sciopero qui sarebbero perfino superati, idealmente, dal balzo in avanti offerto dalla volontà non già di porre fine ad un episodio di violenza o guerresco, bensì di creare le condizioni per un avvenire migliore per i propri figli, elemento di per sé sufficiente per elevare molto di più l'intera storia, accentuandone le punteggiature potenzialmente rivoluzionarie (fra gli altri, dagli stessi spunti aristofaneschi: “Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio, non ci sarà più un mestiere che queste, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare. Costruiranno navi, vorranno combattere per mare […]. Se poi si mettono a cavalcare, è la fine dei cavalieri” – Lisistrata, vv. 671-676; ovvero “E noi, anche bevendo, ci siamo comportati saggiamente. È naturale, visto che quando siamo sobri ci comportiamo da stupidi”, vv. 1227-1228). La storia invece si snoda solo in maniera tradizionale, anche lungamente, non discostandosi mai da quegli stessi canoni pericolosamente confinanti con il bersaglio che vorrebbe invece colpire.
La galleria di personaggi va da Tonino ‘o tedesco al neomelodico Ciro California, all'impresario Franchetiello Palermo alle varie donne dei malavitosi (ed appunto esse esistono in quanto tali): detto che la prova più convincente va ascritta ad Andrea Sannino nei panni di Ciciniello, tutti loro alternano la presenza scenica con una certa capacità di mantenere il ritmo necessario alle cadenze scelte dalla narrazione, in una storia che vede la guerra fra clan calarsi nella contemporaneità dei cantanti neomelodici (per motivi di rivalità, il pessimo Ciro California non viene invitato -come invece pressoché tutti gli altri suoi colleghi- ad esibirsi al matrimonio di Ciciniello), il tutto in un contesto di trovate conservatrici, con interpunzioni musicali che si alternano fra canzoni originali dello stesso Gallo e canzoni classiche napoletane non sempre inserite nel contesto, da Canzone appassionata, a Lacreme napulitane ed Indifferentemente.
Ci troviamo di fronte al risultato di aver cercato di unificare una sorta di drammaturgia del disagio con elementi propri del musical, della commedia e della tragedia, della sceneggiata e del cabaret, della farsa e dello spettacolo leggero, con una struttura di cui si può apprezzare lo sforzo della costruzione, e che vorrebbe sfuggire per principio alle definizioni; cosa che avviene, sebbene si ravvisi fondamentalmente l'ededità dei canoni di una sorta di commedia/sceneggiata come le modalità più sicure cui poggiare il dipanarsi del drammone, di cui residua la scarsa credibilità complessiva delle parti in cui le donne si rivoltano, gli uomini si pentono, e soprattutto un finale classico ('o malamente che al matrimonio del redento fa la sua entrée, gli spara ma uccide il fratellino che generosamente gli fa da scudo) che non solo ne rilegge i canoni, ma non fa capire nemmeno abbastanza da che parte, e con quale sguardo li sta osservando.