Potrebbero essersi incontrate prendendo un caffè al bar le tre inquiline che abitano il corpo dell'attraente Laura Prete. C'è Laura, ex soubrette di successo nazionale nata a Brescia, fondatrice della BES, scuola di bellezza, eleganza e spettacolo, una di quelle donne fortunate i cui sogni si sono realizzati uno dopo l'altro. C'è Laura, donna cinica e fallita, sfruttata e mercificata che si è prostituita allo show business a tutti gli uomini che potevano consentirle di fare un passo in avanti nella carriera. C'è infine Laura, disperata assassina a sangue freddo che spara in testa ad un noto presentatore televisivo per dire, almeno per una volta, la sua. Anzi, nell'ultimo adattamento di Corrado d'Elia con testo di Federico Guerri questi tre facce di un'unica condizione femminile ai tempi della televisione berlusconiana sono ospiti in un programma TV di caratura nazionale: al centro dello studio/palco uno sgabello solitario ad accogliere la bella intervistata, davanti un pubblico che applaude quando invitato a farlo, dietro la telecamera qualche milione di italiani forse intenti a preparare la cena. E i tre drammi di una donna mano a mano si ricompongono in un'inedita somma, al cospetto di quel colpo di pistola - unico e preciso- entrato d'improvviso nel cranio di un presentatore di successo.
Un affresco del nostro tempo, dei suoi squallori, un'opera in cui farsa e tragedia si mescolano continuamente. Una donna che non ha avuto scelta perché doveva stare al passo con il suo tempo. La tematica non è nuova all'adattamento teatrale (ricordiamo tra gli altri il plurireattore “La merda” di Cristian Ceresoli) ma qui la declinazione assunta è quella di un noir al contrario in cui fin dall'inizio si conosce la dinamica e l'assassino mentre manca il movente. A toccare e scuotere lo spettatore è Laura e la sua frenesia di arrivare ad ogni costo e a discapito di tutto e tutti. A discapito dei morti innanzitutto (l'ex fidanzato suicida, l'amante altolocato, il conduttore...) ma anche, e soprattutto, di sé stessa. Davanti alle luci delle scintillanti telecamere allora anche uno studio TV può diventare una obitorio dove un'intervista frizzante da spot pubblicitario trascolora con un bel cambio di registro in un monologo più intimo e doloroso recitato da una brava ed impegnata Monica Faggiani. Un'intensa atmosfera senza vie di uscita impreziosita da luci livide, praghesi, video ben modulati e congeniali ad abbracciare ed estendere i moti di spirito del personaggio.
Un teatro in cui succede qualcosa, dentro e fuori da noi ma che pecca in onestà, specie nella chiusa, nel suo voler troppo compiacere il pubblico in sala.