Macerata, teatro Lauro Rossi
QUESTI FANTASMI CHE SONO IN NOI
“Scrissi Questi fantasmi per dire che i fantasmi non esistono, i fantasmi siamo noi, ridotti così dalla società che ci vuole ambigui, ci vuole lacerati, insieme bugiardi e sinceri, generosi e vili” (Eduardo De Filippo).
Presenze reali e immaginarie si agitano tra le stanze di un antico palazzo napoletano. La scena (di Bruno Buonincontri) presenta un alternarsi di pieni e di vuoti, uno spazio immobile che però dà l’illusione che fuori dalla scena viva un altro spazio. Molta l’atmosfera creata nelle stanze dalle luci crepuscolari di Cesare Accetta.
Pasquale Lojacono è un poveraccio che si fa convincere ad andare ad abitare gratuitamente in una casa di diciotto camere, solo per sfatare le voci secondo cui vi abitano dei fantasmi, a cui lui non crede. Ma, dopo i primi racconti di Raffaele, il portiere dello stabile, comincia a ricredersi, anche se l’unico fantasma che gira per casa è uno finto, poiché si tratta di Alfredo Marigliano, amante di Maria, moglie del protagonista.
Pasquale è un piccolo borghese (ma non un “borghese piccolo piccolo”), ha un aspetto spaesato, come se fosse capitato per caso sulla terra, un aspetto clownesco e sognante; in parte è un’anima semplice, ingenua, incapace di sopravvivere da solo nel mondo degli arrivisti e degli interessati, superiore a quei sentimenti che ci condannano a vivere l’uno contro l’altro, a tradirci; forte è la sua capacità di resistere senza mai voltarsi dall’altra parte, rimanendo saldo, eroicamente, senza scappare davanti ai propri fantasmi, che poi sono quelli della solitudine (Pasquale e Maria non hanno figli) e della miseria (lui non riesce a mantenersi un lavoro stabile). Silvio Orlando rende visibile il dato caratteriale di Pasquale: cammina sul palcoscenico rumorosamente, strascinando i piedi, sta spesso con le spalle al muro, si muove nella penombra con circospezione, guardingo. Infatti fino alla fine non si ha mai la certezza se Pasquale crede oppure no ai fantasmi. Silvio Orlando dà un’interpretazione divertente e convincente del protagonista, furbo e fesso, ma sempre intelligente.
La messa in scena di Armando Pugliese è piacevole, perché pulita, tradizionale, rispettosa della forza del testo di Eduardo. Infatti viene mantenuto il dialogo diretto del protagonista con il pubblico; ha risalto la figura di Raffaele (un bravo Tonino Taiuti); viene sottolineato l’uso del doppio senso, impiegato con esiti comici ma anche per evidenziare l’incomunicabilità fra i personaggi. A questo proposito è particolarmente divertente la scena dell’arrivo in casa Lojacono di Armida (moglie di Alfredo, un’incisiva Daniela Marazita), seguita da una “corte dei miracoli” composta dai figli e dai vecchi di casa: Pasquale si rivolge a loro come a dei fantasmi e Armida intende tutto come riferito alle sofferenze causate alla famiglia dall’abbandono di Alfredo.
Ma, al di là delle trovate comiche e delle paradossali situazioni grottesche, qui si racconta un vero dramma, con tanti risvolti amari, compreso quel “… è probabile .. .speriamo…” che chiude lo spettacolo, foriero di altri drammi a venire.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 13 gennaio 2005.
Visto il
al
Carcano
di Milano
(MI)