Prosa
QUESTO BUIO FEROCE

Intenso e simpaticamente crud…

Intenso e simpaticamente crud…
Intenso e simpaticamente crudele. “Questo buio feroce” altro non è che la storia della sofferenza, dell’abbandono, della malattia e del viaggio verso la morte. Uno spettacolo completamente rivestito di ironia e velato di un’amara consapevolezza: quella della lucida accettazione della fine dell’esistenza. Pippo Delbono e i suoi bravissimi attori “non-ordinari”, trovati in giro per l’Europa tra manicomi e posti malfamati, portano in scena tutta la poesia di Emily Dickinson, la filosofia e la violenza del Pasolini di Salò, le atmosfere nevrotiche di Botero, la rara bellezza di Frida Kahlo, le crude parole di Antonin Artaud. Proprio da quest’ultimo grande artista, per molti anni rinchiuso in un manicomio, viene catturata l’idea del disagio provato da chi è costretto a “vivere” forzatamente in ospedali psichiatrici: i folli sono per eccellenza le vittime individuali della dittatura sociale, sono prigionieri forzati della propria sensibilità; ad essi viene proibito “il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico”. «Ho incontrato Harold Brodkey in uno scaffale di una piccola libreria in un paese senza libri. Un incontro straordinariamente misterioso. E in quel libro, in quel viaggio, ho ritrovato il mio viaggio, la mia storia». Ecco come esordisce il regista. Lo spettacolo inizia con questa precisazione, richiamando il racconto autobiografico di uno scrittore americano, morto di AIDS. Sul palco si alternano singoli personaggi a gruppi di gente sofferente, immersi nella solitudine, persi nell’angoscia di una stanza bianca e spoglia. Non si conoscono tra loro. Non riescono a comunicare. Ognuno presenta al pubblico la propria storia, il proprio vissuto. C’è chi canta “My way” di Sinatra prima di morire, chi racconta le disgrazie della propria famiglia solo apparentemente armoniosa e felice, chi descrive le proprie e altrui prestazioni etero e omosessuali. Ce n’è per tutti i gusti. E, chi osserva questo circo folle di puro neorealismo, non può che arrendersi di fronte al tragicomico e lasciarsi andare ad un riso amaro. Il senso di smarrimento e di alienazione che si percepisce trasuda dalle fredde pareti della stanza, dagli sguardi malinconici dei protagonisti, dalle loro voci distorte, dagli abiti a volte antichi e dal sapore decadente, a volte più moderni e sfarzosi. Il richiamo alla vita e alla morte è forte: “…la bellezza sta morendo. La poesia sta morendo. Venezia sta morendo”. “Questo buio feroce” cattura, incanta e porta lo spettatore a compiere un viaggio che prosegue oltre i novanta minuti di spettacolo. E le musiche accompagnano ogni respiro, ogni azione, ogni istante. Fino all’atto finale: l’attesa della morte di un Pippo Delbono sorprendente, che ripensa alla sua esistenza, si aggrappa ai ricordi, ai sogni, agli incubi per poi accogliere la fine con poche ma significative parole: “ Io guardo la morte, la morte guarda me”. Parole ripetute finché l’ultimo respiro viene esalato. Il buio, quello più feroce e raggelante, lo ha avvolto ma la liberazione per lui è totale: Pippo balla, si muove sereno sul palco, seminudo, come se avesse raggiunto una pace interiore tanto desiderata e cercata, come se volesse farci capire che, solo guardando la morte in faccia, si può giungere alla comprensione del vivere. Bologna, Arena del Sole, 25 febbraio 2007
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