Si legge nelle note di regia: “piccolo tabarin”. Quasi una sonorità astratta, un gioco. Una risonanza.
Se Teatralità, nel suo senso più onesto, è anche l’arte di concretizzare ciò che è ineffabile, è innegabile allora il pregio di Radio Decò, che con pochissimi elementi ha la capacità di cambiare di segno lo spazio teatrale per restituirci la temperatura di un’epoca.
Anni Venti:
un pianoforte, un’insegna luminosa che ricorda lo stile broadway, un microfono e una cantante. Questa essenzialità rafforza il valore dei segni, e ha il risultato di coinvolgere pubblico e platea in un unico evento: il piccolo tabarin, appunto, a cui siamo chiamati ad assistere.
Nel lavoro così costruito è grande la responsabilità dell’attrice, a cui è affidato il compito di non tradire mai la dimensione d’epoca, e anzi di ricrearla in ogni momento, pur mantenendo le variazioni necessarie in uno spettacolo solista.
Con finezza interpretativa, Giulia Valenti alterna sulla scena canzoni e testi senza mai perdere l’eleganza stilistica, e mantenendo una presenza forte ma non semplificata. C’è chiarezza, credibilità ma non caratterizzazione, e ogni volto di donna in tempo di guerra è raccontato in punta di matita. Come in un fumetto del signor Bonaventura.
Da sottolineare anche la scelta dei testi, accurata e originale; così come l’orchestrazione generale della regia, che gestisce i registri e le sonorità (si inizia con un imprinting più romantico e anche più riconoscibile) di modo da trasportare gradualmente il pubblico dentro il lavoro. Per poi potersi permettere anche scelte più difficili e proprio per questo davvero apprezzabili (Abbasso il tango e Parsifal! di Marinetti).