C’era una volta Amleto, con la sua lingua, i suoi personaggi intorno ed i temi che hanno fatto la storia del teatro.
Dimentichiamocelo, se davvero è possibile, e sediamoci di fronte a Giuseppe Provinzano che di e su Amleto presenta, col suo spettacolo, pezzi di riflessioni, e riflessioni a pezzi.
Il lavoro nasce dal gruppo palermitano Sutta scupa (sotto pressione): lui, Andrea Capaldi ed Elena Bosco, ma a Napoli Provinzano è solo sul palcoscenico, e già questo fornisce il primo, perfino determinante indizio nella ricostruzione del senso che si annida fra le parole ed i costumi, che appaiono appesi su fili sottili in attesa di essere messi e dismessi a turno.
Il motivo lo comunica lui stesso: “…gli altri attori si sono licenziati i costumi sono stati venduti i tecnici se non sono pagati… i dialoghi sono andati perduti il ministero li ha tagliati…” ed un sorprendente “ora ci vorrebbero i dialoghi, ma sono da solo, e quindi non li posso fare”.
La linea poetica del lavoro è nel prologo, una sorta di monologo militante che eredita il Die Hamletmaschine di Heiner Müller, il concept con il quale nel 1977 l’opera shakespeariana venne trasformata in maniera concettualmente post-moderna, e non più centrata intorno ad una trama lineare, ma attraversata da monologhi in cui l’attore si sveste del ruolo, e riflette sul suo stesso senso di essere attore.
Ed infatti la base non è quella di raccontare per l’ennesima volta la storia di Amleto, bensì di trasmettere la difficoltà di andare in scena quotidianamente nell’era contemporanea, e nello stesso tempo, paradossalmente, il poterci andare lo stesso con ogni mezzo, come accaduto appunto anche qui a Napoli, da solo, senza costumi e con il testo tagliato: insomma, la necessità che è più forte dell’impedimento (un concetto che dalle nostre parti risulterà molto chiaro a tutti).
In questo senso, appunto, il prologo davanti ad una TV accesa sui Simpson (che al Bellini però non c'era) è illuminante:
“Se sia più coraggioso star seduti a guardare il mondo alla rovina, o alzare il culo e fare la propria parte.
Dormire. Poltrire. Nulla più.
Non è che russando di fronte a quello schermo possiamo dire basta, al dolore, all’inganno e alla merda.
Non è così che si cambia il mondo”
Provinzano dunque destruttura la trama in modo che forma e struttura cedano il passo alla realtà quotidiana, ad espressioni di desideri nascosti ed a parole che si riflettono come su specchi di riflessioni gelate.
La presenza scenica c'è, ma non è certo facile stabilire nemmeno quanto sia riuscito a comunicare, in determinate parti del monologo, e questo va detto con la consapevolezza che forse è proprio anche questa materia, l’incomunicabilità, o quantomeno la comunicazione resa estremamente ardua, ad essere essa stessa uno dei temi più rilevanti.
Visto il
13-04-2010
al
Piccolo Bellini
di Napoli
(NA)