Lirica
THE RAPE OF LUCRETIA

LA VIOLENZA CONTRO I DEBOLI

LA VIOLENZA CONTRO I DEBOLI

Bellissima edizione di “The Rape of Lucretia” di Benjamin Britten al Teatro Goldoni di Firenze per la 76° edizione del Maggio Musicale Fiorentino. L’allestimento, una coproduzione con i Teatri di Reggio Emilia e il Teatro Alighieri di Ravenna, è una ripresa dello spettacolo già presentato a Firenze nella stagione 2000-2001, per la regia di Daniele Abbado,  rielaborato in questa occasione dallo stesso regista con i suoi storici collaboratori, Gianni Carluccio per le scene, i costumi e le luci e Luca Scarzella per le proiezioni video. Per chi scrive, che non ha assistito alla rappresentazione di dodici anni fa, la magia dello spettacolo si è manifestata in tutta la sua pienezza. La sconvolgente partitura di Benjamin Britten, su libretto di Ronald Duncan dal dramma “Le viol de Lucrèce” di André Obey, con fonti dirette da Tito Livio e William Shakespeare, è stata magnificamente posta in scena da Daniele Abbado. Le premesse filosofico esistenziali, di cui parla lo stesso regista nelle note del programma di sala, sono la base su cui si sviluppa l’architettura dello spettacolo. La traduzione italiana del titolo dell’opera è stata quasi sempre erroneamente resa come “Il ratto di Lucrezia”, mentre in realtà il termine “rape” significa letteralmente “stupro”, e anche il dramma cui il lavoro di Britten si ispira si chiama “Le viol de Lucrèce”. Non è una sottigliezza semantica ma il vero fulcro della composizione di Britten. L’opera, rappresentata per la prima volta a Glyndebourne, nel 1946, e quindi subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, è una profonda riflessione sulla violenza insita nel genere umano: la violenza su Lucrezia, simbolo di tutte le donne sacrificate e la violenza sul mondo stesso, sui più deboli, gli emarginati, i diversi. E lo spettacolo che ci ha presentato Abbado è stato una sintesi perfetta di quello che probabilmente voleva trasmettere l’autore. Così i due Cori, maschile e femminile, inizialmente si trovano su un piano superiore, separati dagli umani, ma più volte il regista li fa scendere per intensi contatti fisici con i protagonisti. In particolare il Coro maschile, forse il personaggio principale dell’opera, non a caso interpretato per la prima volta da Peter Pears, compagno sulla scena e nella vita di Benjamin Britten, discende a prendere le parti anche di Junius e di Tarquinius, personaggi prevalentemente negativi. Il Coro femminile, più dolce, ma anche più spietato nell’analisi dei sentimenti umani, in genere quelli maschili, partecipa fortemente al dolore delle donne. Nel lavoro di Britten i due Cori dovrebbero essere sempre “a parte”, commentatori dell’azione; nello spettacolo di Daniele Abbado diventano più “umani”, si mescolano ai dolori dei “terreni” e, come inquietanti fantasmi sembrano la prefigurazione di “Peter Quint” e di “Miss Jessel” del successivo “The turn of the screw”. Affascinanti nei loro costumi azzurri, con il volto bianco quasi cadaverico, spariscono nelle grandi proiezioni dei libri di storia. Geniali le proiezioni video di Luca Scarzella, in particolare le immagini di popoli sopraffatti di tutti i periodi storici durante l’esposizione del Coro Femminile “It is an axiom among kings to use a foreign threat to hide a local evil” (E’ un assioma tra i re usare una minaccia straniera per nascondere il male interno), nel primo atto oppure nelle dolorosissime immagini dell’Olocausto durante la grande requisitoria contro gli Etruschi, qui simbolo di tutte le tirannidi che cadono ma purtroppo ricompaiono sempre nel corso della storia (“All tyrants fall though tyranny persists”, Tutti i tiranni cadono, benché la tirannia continui ad esistere, Coro Maschile, secondo atto).  Suggestivi poi tutti i momenti in cui i due Cori si mescolano agli umani, come nel bellissimo finale del primo atto. I personaggi terreni sono invece rappresentati, come da tradizione, in abiti di epoca romana ma la loro interazione è resa con una modernità inaudita, presente nell’opera e confermata dalla messa in scena. La scena culmine, lo stupro di Lucrezia, viene presentata come una dolce aggressione, su un grande letto bianco, da parte di Tarquinius,che lentamente si evolve in una violenta sopraffazione della donna. Ma anche il personaggio di Tarquinius è qui visto con una leggera “simpatia”, in fondo anche lui è un “diverso”, non è sposato e Junius, con ferocia che gli ricorda che “sua moglie è infedele ma lui può conoscere solo la fedeltà delle prostitute”; e così è sempre Junius che fa scatenare nella mente di Tarquinius l’istinto di violenza. “The Rape of Lucretia” è un’opera in cui tutti perdono, nessuno ha una speranza in questa vita, se non affidandosi a “Maria, Madre di Dio”, sulla cui invocazione compaiono ancora suggestive proiezioni di umanità sopraffatta, affranta, in cerca di una salvezza fisica e spirituale. Efficace anche il suicidio di Lucretia, non con il pugnale, ma lasciandosi strangolare da lunghe corde, e alla presenza di Junius, motore forse non involontario della tragedia. Grande serata, veramente carica di forti tensioni emotive!
Ovviamente in uno spettacolo d’opera la parte visiva deve essere supportata dalla componente musicale. Anche da questo punto di vista la serata è stata caratterizzata da una pressoché totale adesione alla volontà dell’autore. Magnifica la direzione di Jonathan Webb, che, alla guida di un organico così ristretto, è riuscito a permeare la deliziosa sala del Goldoni di suoni ora eterei, ora violenti, creando una forte sinergia con il palcoscenico. In particolare, veramente suggestivo il finale cullante del primo atto con i “good night” ripetuti dai vari personaggi in un’atmosfera quasi onirica. Bellissimi poi i momenti tragici di accompagnamento ai due Cori, con suoni di una durezza aspra, tagliente. E la scena dello stupro resa dall’Orchestra con sonorità dapprima sfumate e poi sempre più agghiaccianti.
Tra i cantanti, probabilmente, il migliore è apparso Jacques Imbrailo, nei panni di Tarquinius: voce potente, di timbro scuro, virile, ma anche capace di momenti più dolci come nel bellissimo “Within this frail crucible of light” (Entro questo fragile crogiuolo di luce). Alle doti vocali si aggiungeva una ottima capacità attoriale, con scatti di bruciante passionalità, consoni alla personalità del principe etrusco. Molto brava anche la Lucrezia di Julianne Young, voce di vero contralto con screziature di sensualità e di dolente malinconia, con una perfetta resa nel racconto al marito della violenza subita. Gordon Gietz, noto per le sue interpretazioni britteniane, qui nel ruolo del Coro Maschile, ha offerto una prestazione eccellente come interprete, ma ha mostrato qualche difficoltà nel registro acuto, affetto da lieve vibrato e da alcuni disagi nel mantenere l’intonazione, soprattutto nel primo atto. Comunque, lo sfruttamento a fini espressivi di queste imperfezioni ha fatto sì che, globalmente, il personaggio ne uscisse fuori in qualche modo positivamente, anche per la migliore prestazione del tenore nel secondo atto. Il Coro Femminile era Susannah Glanville, voce di timbro lirico, efficace nelle parti più drammatiche e sicura nell’involo alle regioni più acute del pentagramma. Efficace anche il Collatinus di Thomas Tatzl, che con il suo gradevole timbro di bass baritono ha donato una partecipe interpretazione del virile e probo generale, forse il personaggio più positivo dell’opera. Junius di bella presenza scenica e timbro vocale è stato Philip Smith, che ha reso in maniera inquietante le sue ossessive invocazioni “Lucretia” nel primo atto. Delle due ancelle di Lucretia, sicuramente più valida l’anziana Bianca, interpretata da Gabriella Sborgi, il cui timbro scuro si fondeva bene con quello della sua padrona. L’altra ancella, Lucia, era interpretata da Laura Catrami, di gradevole presenza ma con qualche fissità nel registro più acuto, con effetto leggermente querulo. Alla fine grande trionfo di pubblico con numerose chiamate per tutti.
Da segnalare infine una lodevole iniziativa prima della recita fuori del teatro, una sottoscrizione per il Maggio Musicale, con l’acquisto di una bella maglietta con scritto “Io sono il Maggio” che è stata indossata da molti spettatori durante lo spettacolo. Speriamo per il suo futuro!!!

Visto il
al Goldoni di Firenze (FI)