Sala Pintor, 2 Ottobre 2009 - prima serata di semifinale
Primo spettacolo in gara è “Wafer al cioccolato”, testo di Lucia Lasciarrea, per la regia di Antonella De Angelis.
Saltano purtroppo immediatamente all’occhio la totale assenza di scenografia e la povertà dei costumi di scena, come la scelta poco indovinata delle musiche post-moderne, inserita tra l’altro in momenti e modalità sbagliati e quella di utilizzare un proiettore per ricreare un fondale immaginario. Incerta, poi, anche la gestione delle luci. Insomma, l’esordio non è dei migliori e sulle prime lascia un po’ perplessi anche l’interpretazione “spontanea” di Antonio Rocco nei panni del giovane. Grazie a Fabrizio Rendina ed al suo “vecchio”, il tema affrontato si fa più chiaro, i toni più coinvolgenti e le riflessioni dell’autrice di questo lavoro acquisiscono un senso. “Occorre che ci sia il mediocre perché l’eccellente possa fiorire”, dice il vecchio e sembra crederci col cuore.
Spunti apprezzabili ed originali ci sono ma si perdono, purtroppo, nell’alternanza mal pensata di momenti concitati ed altri lenti.
Il secondo candidato è un adattamento da Jaques Prévert, “Il cavallo solitario” per la regia di Cristina Spizzamiglio.
La prima parte del corto è noiosa ed incomprensibile: le due giovani protagoniste si sfidano in un gioco dal significato oscuro usando 4 “Mio Mini Pony” ciascuna. “Trovare una relazione mantenendo una distanza” vanno declamando nella loro insolita partita a scacchi. Ha scritto la compagnia nella presentazione di questo lavoro che chi alza la voce fuori dal coro non viene ascoltato e la poetica di Prévert, in tal senso, rivela una scomoda attinenza con la nostra civilissima realtà… e così le ragazze/cavalle si mettono a gridare “imbizzarrite” le lamentele del cavallo che decide di ribellarsi ai maltrattamenti subiti dall’uomo. Ma il significato non passa, la messa in scena è frammentaria e non assume una direzione chiara e l’interpretazione lascia a desiderare.
Il terzo è “Vacanze d’estate”, testo molto bello, decisamente più chiaro e comprensibile, tratto dall’opera di Quim Monzò, diretto ed interpretato da Teodora Grano e Daniele Bernabei.
La giovane coppia alle prese con un tema drammatico come quello dell’aborto è presentata dall’autore catalano in maniera a tratti cinica a tratti grottesca. Brava ed espressiva la protagonista femminile (anche se dovrebbe tirar fuori un po’ di più la voce), buone le pause, le variazioni di toni, la mimica del volto; va bene anche il marito che da semplice comparsa distratta quale può sembrare all’inizio, fa invece poi davvero suo il personaggio. Toccante l’umanità dei personaggi che anche nell’assurdità della situazione presentata, fanno emergere, commuovendoci, il loro desiderio di essere genitori.
L’ultimo corto della serata ci rallegra un po’: si tratta di “Dopo le Ventiquattro” scritto, diretto ed interpretato da Angela Bruni e Elena D’Angelo che si presentano come compagnia di cabaret dell’assurdo “Idiomi e idioti”. Le due ragazze perdono troppo tempo nell’allestimento – per carità, accuratissimo e grazioso – della scena e nei cambi d’abito – anche quelli scelti bene – che avvengono davanti ai nostri occhi. Sembrano addirittura provarci gusto e mostrano in questo una punta di presunzione. Sfuggono, in alcuni momenti del primo sketch i legami che dovrebbero essere dettati dal linguaggio, nella conversazione astratta tra marito e moglie e sono forse solo le loro “facce buffe” a far sorridere. Più caricaturale e ilare e riuscita, nel secondo sketch, l’interpretazione delle due vecchie pettegole.
Sala Pintor, 3 ottobre 2009 - seconda serata di semifinale
Il primo corto ad andare in scena è “Dulcinea va a sposare” di Francesca De Rossi, per la regia di Massimo Roberto Beato e Jacopo Bezzi. Protagonista Dulcinea, interpretata da un’intensa Nicoletta La Terra, la quale ogni volta che tenta di diventare sposa di un uomo, vede ricomparire il fantasma del suo primo amore carnale, Don Chisciotte, qui realizzato con forza e presenza scenica da Francesco Montanari, e spinta dall’esasperazione si trova a chiedergli di portarla con lui nel mondo degli inferi. Un corto breve, conciso, completo, che alterna rapidamente ed efficacemente umori e sentimenti senza dimenticarsi mai dello spettatore.
Secondo candidato è invece “Il cantico del lamento”, scritto e diretto da Davis Tagliaferro. Consiste in un monologo interpretato da Annarita Colucci. La ragazza – davvero troppo giovane per farci vedere, anche con tutto il lavoro di trucco, una donna anziana nei suoi atteggiamenti e nelle sembianze – declama il testo dando l’impressione di viverlo poco e risulta artificiosa, fredda, finta. A poco servono, così, le bellissime musiche, il testo interessante, riflessivo ed interiore e dell’atmosfera “inquietante” preannunciata dalla compagnia nella presentazione del lavoro non arriva nulla. La protagonista è una donna che rifiuta la sua esistenza e da questa condizione dovrebbe sgorgare il lamento, lo sfogo. Persino il costringersi a stare su una sedia a rotelle si rivela una scelta dovuta alle profonde insicurezze della donna, che è arrivata a considerare quell’inutile oggetto il suo trono. Ma ahimé, questo “esplodere” della tensione emotiva della protagonista non è reso minimamente e neanche le lacrime che abilmente l’attrice riesce a far sgorgare nel finale riescono ad andare oltre l’esercizio tecnico e a commuovere.
Il terzo lavoro presentato, “Mogli ebree alle ceneri” tratto da “La moglie ebrea” di Brecht e “Ceneri alle ceneri” di Pinter, è un monologo riscritto ed interpretato da Daniela Ferri, che unisce parti dei due lavori col filo comune del dramma della Shoa. Le distinzioni ingiuste e le discriminazioni di ogni tipo che un tempo lasciavano indifferente Judith (la protagonista della prima parte del lavoro), un tempo ricca signora borghese priva di preoccupazioni, ora la toccano personalmente e la portano alla fuga… ma al di là della dolcezza e dell’umanità della Ferri, che si percepiscono, tutta l’esposizione non coinvolge: l’attrice non varia mai tono, sospira troppo, non gestisce bene la sua presenza scenica per un periodo tanto lungo ed impegnativo sul palco, non si sa dirigere da sola, ha scelto male costumi ed oggetti e le lacune e le pecche tecniche sono molte. Dovrebbe cambiare radicalmente l’interpretazione quando si trasforma in Rebecca nella seconda parte, ma pur tentando toni più leggeri ed accattivanti, ricade poi nella monotonia.
Il quarto spettacolo è “Il gioco del silenzio” scritto, diretto ed interpretato da Massimo Dobrovic, giovane ragazzo di bella presenza che si ispira per il suo lavoro agli studi del metodo Tadashi Suzuki, facendo uso nel suo spettacolo di movimenti corporei che in realtà pare gestire in modo piuttosto incerto. Non è chiaro se ci vuole offendere o prendere in giro il testo recitato dall’artista, che si lamenta e si arrabbia perché – dice – nessuno ha la più pallida idea di cosa significhi il suo spettacolo e lui odia quindi tutti quelli che non lo vogliono conoscere veramente… L’effetto di questa performance, pur non volendo, è a tratti quasi comico, forse anche per via dell’accento straniero di Dobrovic ed in generale per l’imprecisione palese di tutto l’insieme.
Per ultimo abbiamo visto “Nuovo Ordine Mondiale” ispirato ad un testo di Harold Pinter e riadattato e diretto da Rosario Mastrota, con Laura Garofoli e Desirée Cozzolino. La compagnia presenta in effetti un’idea originale che incuriosisce fin dal principio, grazie alla cura di costumi, musiche e dettagli ed alla disinvoltura e buona preparazione delle due interpreti. Dopo il balletto/spogliarello divertente in apertura e la trasformazione delle “dolci fanciulle” in pericolose sadomaso, ci sono tratti un po’ lacunosi nel testo e momenti lenti negli scambi di battute, sui quali varrebbe la pena lavorare di più ed in generale forse si dovrebbe prendere un direzione più chiara e decisa riguardo al modo di esporre l’idea, in chiave comica piuttosto che ironica ma con l’intenzione di far passare un messaggio serio.
Visto il
02-10-2009
al
Sala Pintor
di Roma
(RM)