All’interno della suggestiva cornice del teatro elisabettiano di Roma, progettato secondo lo schema del teatro londinese che aprì i battenti nella zona centro-settentrionale della City nel 1576, ha avuto luogo la “mise en scene” di una delle tragedie di Shakespeare maggiormente rappresentate, nonostante in passato sia stata considerata un testo irrappresentabile, una sorta di poema rapsodico, tanto più potente quanto più disorganico e barbarico.
L’opera, scritta nel 1605 dal preclaro drammaturgo londinese, rispecchia il duro periodo di crisi economica in cui versava allora l’Inghilterra, crisi gestita malamente prima da un'élite gerontocratica ed autoreferenziale, poi da giovani che, non educati ad avere responsabilità di governo, si perdono in sterili conflitti, motivati soltanto da sfrenate ambizioni personali e velleitarismi.
In questo quadro politico che, per nostra sventura, mostra sinistre somiglianze con la decadenza dei nostri tempi, s’innesta la tragedia di Re Lear, ovvero la tragedia di tutti i padri incapaci di capire i loro figli, quei padri che “ciechi di fronte all’adulazione dei figli che li vogliono ingannare e ciechi di fronte alla devozione dei figli che invece li amano”, mantengono però la consapevolezza che se dal nulla esce il nulla, dalla verità nascerà l’amore.
Così, se gli abbacinamenti e le agnizioni costituiscono i gangli perfetti attraverso cui si snodano le vicende del teatro shakespeariano, la metafora risulta la vera protagonista di questa messinscena e prende drammaticamente corpo nella follia che sconvolge la mente di Re Lear e nella cecità che ottunde gli occhi del nobile Gloucester al fine di indicarci come solo attraverso un tragico destino, la mente dell’uomo, cosciente del proprio errore di giudizio, riesce a “veder chiaro”, illuminata finalmente dalla luce della saggezza.
La complessa simbologia lirica del poeta elisabettiano esplode, poi, in alcuni episodi quali la perdita della sinderesi di Lear, che coincide con lo sconvolgimento della natura, elemento che domina tutta la parte centrale del dramma, e nell’eclissi lunare foriera di cattivi presagi, momenti suggestivamente resi dall’uso sapiente di video proiezioni curate dalla Indyca e dalle musiche di Marco Podda (rielaborate elettronicamente dalla Lisura Project).
Grazie ad una regia rigorosa, insomma, Daniele Salvo riesce ad essere credibile e fedele al plot drammaturgico della tragedia, anche se nella seconda parte della rappresentazione, si registrano eccessive semplificazioni dal punto di vista dell’approccio filologico al testo. La scenografia pulita ed essenziale (le scene e i costumi sono curati da Barbara Tomada) contribuisce a focalizzare l’attenzione dello spettatore sui momenti privatissimi ed emotivi dei personaggi; a cominciare dal protagonista del dramma, interpretato da un attore di grande esperienza come Ugo Pagliai.
Tuttavia, una menzione di merito va senz’altro annotata per l’interpretazione catartica ed assolutamente coinvolgente di Edmund (Giacinto Palmerini) e di Fool (Francesco Colella), l’irriverente buffone di Re Lear, decisamente irresistibile nei panni dello sbeffeggiatore del potere politico. In questo caso, al contrario del contesto socio-politico in cui si snoda la vicenda, il gap di quattro secoli, non sembra sia stato ancora colmato!
Silvano Toti Globe Theatre - Roma, 26 luglio 2008
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Globe Theatre Silvano Toti
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(RM)