Prosa
RE LEAR

Gli eventi nella loro mass…


	Gli eventi nella loro mass…

Gli eventi nella loro massima espressione e gli eventi nella loro distruzione di cui rimangono nella memoria facce incorniciate dalle macerie. Così appare la scena in cui Re Lear racconta la sua storia di uomo tra gli uomini. Non è insolita una scenografia così rappresentativa a teatro. Lo è vedere simboli ed icone a rappresentare gli eventi di una storia che sembra ripetersi sempre partendo da un prologo promettente fino ad arrivare ad un epilogo che lascia un segno ma di cui non sappiamo quando e come, potrebbe rappresentare un cambiamento.

Re Lear, uomo di potere, ha desiderio di tornare uomo spogliandosi dei suoi averi e responsabilità. Decide di farlo consegnando il regno nelle mani delle figlie. Decide di tornare bambino e come tale ha necessità di dimostrazioni di affetto. Le chiedealle sue figlie in cambio del potere attraverso semplici parole. Le parole non costano niente a Gonerill e Regan. Ma per Cordelia sono una violenza alla sua onestà e con il suo ‘nulla mio signore’ inizia il dramma perchè quando le figlie si mostreranno per quelle che sono, Lear diventerà pazzo.

Michele Placido veste i panni del Re simbolo della natura umana. Si mette in gioco regalando al personaggio la leggerezza bambina che lo porta al suo declino per il desiderio di ‘gattonare fino alla morte’. Gioca con gli attori esaltandone la loro grandezza per poi ridimensionarla a parti infinitamente piccole del palcoscenico, metafora degli uomini col creato. E’ bambina l’evoluzione della follia toccando il suo massimo nell’entrata in scena in slip, giacca regale ed una ghirlanda di fiori sul capo. Bisogna sottolineare che la follia di Lear è degnamente sostenuta dal ‘Matto’ Brenno, (figlio dell’attore) giovane ed innocente che a tempo di rap ricorda quanto pagherà l’orgoglio di padre-padrone e da Edgar (Francesco Bonomo) pazzo per sopravvivenza, specchio dell’esperienza che lo stesso Lear affronterà.

La visione shakespeariana di Placido affiancato da un ottimo cast tecnico ed artistico e una delle più interessanti proposte teatrali di questi ultimi tempi.  La modernità e l’universalità del testo si identificano nelle facce di Marylin, Kennedy, l’Ayatollah Khomeini ed altri personaggi storici impressi su una corona inclinata che governa la scena distrutta dall’imperfezione umana. La condizione antropica nelle sue molteplici complessità ed il dramma di doverle vivere non porta mai fuori (e giustamente) lo spettatore da quello che è comunque una rappresentazione teatrale. A tenerlo sempre a mente sono gli attori che aspettano seduti e visibili al pubblico in fondo alla scena fino al loro ingresso.

Chiedersi il senso di Re Lear è probabilmente superfluo e questo vale per tutte le opere di Shakespeare. Mantenuto il finale nella versione tragica dove bene e male non sopravvivono, trovo che Placido e Manetti abbiano posto la speranza nell’amore e nella solidarietà tra le note di “Corpus Christis Carol” intonate da Federica Vincenti (Cordelia) ricordando che ‘bisogna esprimere sempre ciò che si sente e non ciò che si conviene’
 

Visto il 16-10-2012