Prosa
RE LEAR

I RE DI OGGI

I RE DI OGGI

Vira verso il contemporaneo il Re Lear di Michele Placido, interprete, traduttore (insieme a Marica Gungui) e regista (insieme a Francesco Manetti). A cominciare dalla scenografia di Carmelo Giammello che lascia suggestivamente vedere il muro a mattoni del teatro Persiani. Una scena in cui si accumulano cose, macerie dell'oggi e del passato, frammenti della cronaca e della politica: una colonna di cemento armato, pneumatici, pezzi di statue classiche, graffiti à la Basquiat, una corona enorme appoggiata di lato come la ruota di un battello a vapore con all'interno, come a foderarla, incrostate immagini di Osama Bin Laden, Nelson Mandela, John Kennedy, la regina Elisabetta e molti altri, tutti "re di oggi". Anche i costumi di Daniele Gelsi sono praticamente contemporanei, abiti odierni senza connotazioni a cui si sovrappongono pochi elementi per rendere l'idea del plot e dei personaggi: corazze, mantelli, giacche, copricapi. A completare la parte tecnica le luci di Giuseppe Filipponio e le musiche originali di Luca D'Alberto.

L'inizio è quasi pirandelliano, gli attori entrano tutti insieme, discutono di varie cose, toccano gli oggetti, mimano duelli con le spade: tutti chiaramente ancora fuori dai personaggi. L'arrivo di Michele Placido in abito di Re Lear (casacca e pantaloni rosso scuro) all'improvviso dà il via al dramma e tutti si mettono a recitare. Ma l'idea continua per tutto lo spettacolo in quanto gli attori, quando non sono impegnati in scena, siedono al fondo del palcoscenico, visibili dagli spettatori. Un'idea che non trova riscontro nelle scelte registiche e che resta lì, come una trovata senza riverberi. Lo stesso si potrebbe dire delle attualizzazioni di scene e costumi, che non aggiungono nulla al testo e alla storia, anzi comprimono la forza del testo e la prepotenza degli snodi drammaturgici. Anche se le parole mantengono, ovviamente, la loro presa emozionale sul pubblico: “A noi spetta accettare il peso di questo tempo triste; dobbiamo dire quello che sentiamo e non quello che conviene”, qui sì che si sente la denuncia del contemporaneo e nel finale lo spettacolo vola (troppi, oggi, vogliono farsi re, senza fatiche né studi).

Nel ruolo del titolo Michele Placido sottolinea con coraggio l'età che avanza e la follia come metodo di accettazione di un inaccettabile presente, seppure la gestualità è parsa un poco convenzionale, della quale tuttavia si è apprezzata la immediata comprensibilità. Nel cast è spiccato su tutti per forza attoriale e presenza scenica Francesco Bonomo, un Edgar introverso e impaurito che si rifugia nei libri e poi, allontanato a forza dalla protezione casalinga e dai confortanti affetti, non ha altro che mostrarsi coraggiosamente nella sua nudità ma, proprio grazie a quella, inizia un percorso di formazione e ri-costruzione; Bonomo è bravissimo nel delineare la trasformazione del personaggio indagandone ogni piega e suggerendone ogni risvolto con gesti non enfatici ma calibratissimi, al punto da strappare più volte l'applauso a scena aperta. Convincono l'Edmund belloccio e spudorato di Giulio Forges Davanzati, anima nera della storia, e l'acerbo Matto adolescente di Brenno Placido che parla in rap, la cui somiglianza fisica con il vecchio re propone inedite considerazioni. Le tre figlie del re non rifuggono a quanto si aspetta il pubblico, Goneril calcolatrice e dal cuore di pietra, Regan superficiale e svampita, Cordelia lamentosa e piagnucolante, rispettivamente Margherita Di Rauso, Federica Vincenti e Linda Gennari. Gigi Angelillo é Gloucester, reso cieco come Edipo e replicato da una scultura in scena, seppure è parsa troppo cruda e inutilmente sanguinolenta la scena dell'accecamento nel contesto dello spettacolo. Francesco Biscione è Kent, poco in evidenza nel suo doppio ruolo. A completare il cast Alessandro Parise, Peppe Bisogno, Giorgio Regali, Gerardo D'Angelo, Riccardo Morgante.

Pubblico numeroso, anche studenti delle scuole superiori nel terzo ordine dei palchi. Vivo successo.

Visto il
al Sociale di Rovigo (RO)