La compagnia Teatro Stabile di Genova mette in scena un lavoro tra i più amati e difficoltosi di Shakespeare, “Re Lear”, scegliendo di presentarne un’esecuzione che rispetti integralmente il testo, per una rappresentazione di tre ore e mezza circa.
Il sipario si apre, mostrando una scenografia suggestiva ed il protagonista, realizzato qui da Eros Pagni, ci lascia sulle prime perplessi: bizzarra è, a tratti, la sua interpretazione, bizzarri i suoi toni e la scansione di ogni singola sillaba. Ma ben presto lo spettacolo coinvolge e affascina gli spettatori, che nonostante la pesantezza delle atmosfere e la lentezza del testo in alcune scene, riescono a rimanere attenti grazie alla bravura di tutti gli attori.
Brave, anche se non prive di qualche imperfezione, le figlie del Re. Goneril (Orietta Notari), la maggiore e forse la migliore in quanto a declamazione dei versi shakespeariani, ha però un’andatura piuttosto goffa e “curva” e tutte e tre, in generale, esasperano la gestualità (il dolore viene reso con un innaturale contorcersi dei corpi) e la mimica facciale (si trasforma l’espressività in fastidiose smorfie).
Perfetti, invece, gli uomini, a cominciare da Edmund (Nicola Pannelli) originalissimo e curato minuziosamente nei particolari, come anche il Fool, che permette come sempre a Shakespeare di giocare sui concetti di verità/menzogna, saggezza/pazzia ed è reso insopportabile ed impertinente dal suo interprete Vito Saccinto.
Ed ancora, un applauso va al fratello di Edmund, Edgar (Gianluca Gobbi) nonché al camaleontico Kent (Massimo Mesciulam).
Il più ambiguo dei personaggi maschili, è forse il Duca di Cornovaglia, marito della secondogenita del Re, Regan (Alice Arcuri) e l’interpretazione che ne fa Aldo Ottobrino stona con l’insieme.
La compagnia rende al meglio la sottile delineazione dei personaggi di Shakespeare, la loro psicologia, la poesia dell’autore e l’ironia sui contrasti dei sentimenti umani. Il sospetto, la diffidenza, le dispute si amplificano sempre di più, portando ciascuno a misure di autodifesa estreme. Giocando sul tema ridondante della follia umana, sarà lo stesso Re Lear, sul finale, a scegliere la strada della pazzia piuttosto che cedere alla disperazione.
Nel secondo atto, gli attori si muovono instabili su una corda che attraversa il palco, come a rappresentare la precarietà della propria condizione. Non si risparmiano in alcun modo, giocando con i propri corpi e con le voci e dimostrando un’incredibile elasticità. Si vede costantemente l’eccellente lavoro di regia di Marco Sciaccaluga, nella costruzione di ciascun momento e dettaglio.
Da notare anche i suoni e i rumori che fanno da incessante sottofondo alla messa in scena.
Roma, Teatro Eliseo, 11 Novembre 2008
Visto il
al
Biondo (Sala Grande)
di Palermo
(PA)