Fare la recensione di uno spettacolo coinvolgente e travolgente come Re Lear è un atto d'amore, non un commento.
Un atto d'amore prima di tutto verso colui (Shakespeare) che molti secoli fa è riuscito a dare origine ad una psicoterapia di gruppo reiterabile nello spazio e nel tempo , un atto d'amore per il coraggio di un attore (Michele Placido) che in un periodo di così basso profilo storico-politico-economico e morale della nostra contemporaneità ha trovato il coraggio di mettere in scena “ l'emozione dell'essere “. Si può sintetizzare secoli di storia,di pulsioni emotive spirituali e sessuali , una saga familiare, la lotta per il potere, l'eterno passaggio del “testimone della vita “ e del potere dai vecchi ai giovani ?
Michele Placido c'è riuscito. Entrando in sala molto in anticipo ho notato subito la scena aperta a luci spente: mi sono seduto comodamente e nella iniziale solitudine ho potuto “ leggere “ il progetto scenico realizzato da Carmelo Giammello. Con l'inizio dello spettacolo il proscenio ha cominciato a popolarsi dei vari personaggi , ma lei , la scenografia, era già lì per accoglierli come il tempo è “ preesistente “ alle nostre vite . Quella scena farà girare in tre ore la ruota dei secoli : dal 1500 ai tempi nostri . Su una enorme corona , simbolo del potere , le immagini leggere ma oniriche dei vari potenti di ogni periodo storico. La bellissima scenografia , immanente ed accogliente sia per i personaggi che per gli spettatori , è riuscita benissimo a condensare il messaggio universale shakespeariano fotografandoci anche il cuore ed il pensiero di Michele Placido che ha avuto il pregio di mostrarci in questo spettacolo le ottime funzioni dell'allenatore -giocatore, pardon, del regista-attore .
Uno spettacolo che fila via come un lampo con ritmo e precisione, dove quattordici attori (tutti bravissimi) si ritrovano quasi sempre in scena con ritmi e vocalità calibrate alla perfezione mantenendo però , spettacolo dopo spettacolo ,lo stesso slancio iniziale delle prove e del gusto della ricerca personale ed interiore del personaggio interpretato. Il pubblico ha apprezzato con tanti applausi , al termine ma anche “in corso d'opera “, un lavoro che offre la possibilità prima di tutti a ciascuno di noi di fare un bilancio dei nostri sentimenti , progetti e pulsioni emotive nello scorrere del tempo che inevitabilmente ci porta alla conclusione della nostra esistenza. Vorrei sottolineare la bravura di Francesco Bonomo che ha interpretato la figura complessa e struggente di Edgar che subisce in scena una lenta metamorfosi nell'affrontare il suo tormentato percorso di ristrutturazione, la simpatica modernità del Matto interpretato da Brenno Placido che vistosamente si contrappone ai tratti epici da teatro greco che Gigi Angelillo ha saputo regalarci nell'interpretazione di Gloucester .