Danza
RELAZIONE PUBBLICA

E' andato in scena al Palladi…

E' andato in scena al Palladi…
E' andato in scena al Palladium/Roma/fondazione Romaeuropa di Roma, Relazione pubblica di Caterina Sagna (una delle pochissime coreografe italiane ad avere fondato una compagnia a Parigi, sovvenzionata dallo stato francese), che debuttò nel 2002 al Teatro alle Tese di Venezia per La Biennale, Settore Danza. Lo spettacolo si inserisce nell'interessante e innovativo percorso di ricerca sulla danza contemporanea intrapreso da Sagna che si distingue per un piglio ironico e dissacratorio, anche se ne costituisce forse uno dei momenti meno riusciti. Relazione pubblica si presenta non già come uno spettacolo coreografico ma come un work in progress sotto le mentite spoglie della conferenza-presentazione di uno spettacolo da farsi dal titolo Amours de pierre (Amori di pietra) con tanto di testimonial a fare gli onori di casa (più da presentazione televisiva che da conferenza stampa o da incontro col pubblico a dire il vero...). Lo spettacolo si apre con una coreografia, splendida, incentrata sulla gestualità da fermi: il giovane, bravissimo Antonio Montanile esplora a 360 gradi le possibilità espressive dei movimenti delle braccia e del corpo senza muoversi dal posto, gesti coi quali mostra tutta la gioia di danzare. Si muove solo per cercare di coinvolgere i suoi compagni di coreografia, che presenziano immobili sul palcoscenico, all'inizio con scarsi risultati poi con un crescendo coreografico sempre più sorprendente e imprevedibile. Poi all'improvviso la musica si ferma, e la coreografia viene interrotta: entra in scena Daniela Bisconti (è lei la tesimonial) che officia la (falsa) presentazione col pubblico. E' uno shock perché questa parte drammaturgica entra a gamba tesa sulle coreografie (anche le successive) e non sa trattarle mai con riguardo. Bisconti commenta, intervista, chiede improvvisate performance alle due coreografe (Caterina e la sorella Carlotta) e ai cinque danzatori (tre ragazzzi e due ragazze che si rilassano e fumano) rubando tempo alle coreografie, è evidente che Caterina Sagna reputa il vero spettacolo la parte teatrale, alla quale dedica oltre la metà della durata di Relazione pubblica . Una messa in scena che si vorrebbe metateatrale ma che si limita a pescare dall'immaginario collettivo della fiction televisiva piuttosto che dal vissuto concreto delle compagnie di danza: le due sorelle-coreografe sono in competizione, i ballerini sono colti da crisi isteriche o da sciocche gelosie, tutto viene raccontato a favore di un un pubblico di profani al quale si crede di far assistere a un dietro le quinte se non verosimile veritiero e che invece non potrebbe essere più stereotipato. La cosa imperdonabile non sono tanto le lungaggini della parte drammaturgica in sé ma il fatto che, privilegiando le scene teatrali, si sminuiscono le coreografie, ridotte a rango di siparietti tra una scena e la successiva. E mentre le coreografie da sole avrebbero potuto essere uno splendido spettacolo di danza le parti drammaturgiche senza le coreografie non avrebbero alcuno perché non sanno essere quasi mai originali e non sono mai veramente necessarie. Un vero peccato perché le coreografie sono straordinarie sia per le linee di movimento che per la ricerca sulla fisicità (a cominciare dai cambi di abito in scena) e sul corpo del danzatore e della danzatrice che vanno al di là della classica divisione/opposizione uomo donna, complici anche i costumi (splendidi, di Tobia Ercolino, che contaminando, tra l'altro, oriente e occidente, uno dei temi di Amori di pietra, sono parte integrante della coreografia. Gli uomini poi sono impiegati in arditi passi a due che sanno restituire un erotismo tutto al maschile che non "scade" nell'ovvietà dell'omoerotismo (anzi, in uno dei momenti più azzeccati della parte drammaturgica, i due ballerini chiamati a danzarlo, sensibili all'argomento, rivendicano la tutela della propria privacy). Purtroppo tutto è come sprecato, sfigurato, da un'invasività della parte drammaturgica che, partita da un intento legittimamente polemico e dissacratorio, finisce involontariamente per costituire un altare consacrato allo scempio delle coreografie, un autodafé involontario fatto di interruzioni e parole (con tante lungaggini) che alle coreografie (alla danza) non servono proprio. Roma, Teatro Palladium, 7 marzo 2009
Visto il
al Palladium di Roma (RM)