Quanti compositori sono in grado di padroneggiare un organico strumentale ampio e variegato come quello che Giorgio Battistelli mette in campo per il suo Richard III? Ed immaginare con esso, sovrapponendovi una vasta gamma di vocalità abilmente impiegate – compreso un grande coro misto - una struttura così policroma nei suoni, drammaturgicamente serrata, teatralmente possente e vitalissima? Ben pochi, in verità.
Creato nel 2005 alla Vlaamse Opera di Anversa, Richard III è poi apparso a Düsseldorf, Strasburgo, Ginevra. Mancava da noi: ora finalmente, per merito del Teatro La Fenice, il pubblico italiano può incrociare questo melodramma avvincente, tratto dall'omonimo dramma di Shakespeare, parabola d'una malvagia e smisurata ambizione.
Opera che si può considerare oggi non solo l'apice della produzione di Battistelli ma – almeno per quanto riguarda l'ambito musicale nostrano – anche come il primo capolavoro teatrale del nuovo millennio. E' una partitura di grande complessità e non facile da dominare, senza dubbio. Nell'assolvere un compito così impegnativo, Tito Ceccherini la dipana con spiccata personalità e con sicura competenza, evocando per noi travolgenti sonorità di metallo, densi grumi di pathos, atmosfere arcane e perturbanti. Trovando tra l'altro solide sponde nell'Orchestra della Fenice, che l'asseconda con immediatezza ed efficienza, e nella perizia del Coro veneziano.
Come condensare un dramma storico imponente
Il libretto di Ian Burton sfronda con oculato criterio testo e struttura dell'originale – il Riccardo III è uno dei lavori shakespeariani più articolati e gravidi di personaggi – mantenendone l'essenza e condensandone gli episodi fondamentali in un compatto edificio teatrale. Nondimeno, per apprezzarlo al meglio - come per l'Oneghin di Puškin/Čajkovskij - occorre conoscenza di ciò che sta alla base. Curiosamente, Burton cerca di mitigare quella rappresentazione del male assoluto che contrassegna in Shakespeare l'ultimo dei Plantageneti, concedendogli almeno le attenuanti della solitudine e della deformità, affioranti in rari lampi di umanità.
La densa, magnetica, accuratissima regia di Robert Carsen procede con savia essenzialità di mezzi: inserita nel claustrofobico apparato d'esordio - un periclitante odeon teatrale ideato da Radu Boruzescu, luci plumbee, fondo di sabbia rossa come il sangue, costumi di Miruna Boruzescu che portano ai giorni nostri – stringe il cerchio attorno al dramma, tiene lo spettatore avvinto, si dimostra fedele ancella della musica.
Una voce meglio dell'altra
Il baritono Gidon Sacks è un Richard memorabile: nella rappresentazione mimica delle nevrosi, nella resa psicologica delle perversioni, nella inesausta e statuaria vocalità. Gli fanno corollario altre voci importanti, abilmente accordate fra loro: Annalena Persson (Lady Anne), Christina Daletska (Queen Elisabeth), Sara Fulgoni (Duchess of York), Urban Malmberg (Buckingham), Paolo Antognetti (Richmond), Philip Sheffield (Edward IV); e poi Christopher Lemmings, Simon Schnorr, Zachary Altman, Till von Orlowsky, Szymon Chojnacki, Matteo Ferrara, Francesco Milanese, Jonathan De Ceuster.
Tratte le somme, si lascia la sala veneziana consapevoli di aver assistito ad un evento epocale.
Spettacolo: Riccardo III
Visto al Teatro La Fenice di Venezia.