Ancona, teatro delle Muse, “Rigoletto” di Giuseppe Verdi
IL MONDO IN TRE LETTI
Rigoletto è la prima opera della “trilogia popolare” di Verdi ed afferma pienamente il genio del compositore al principio degli anni Cinquanta dell'Ottocento. La regia di Stefano Vizioli, già apprezzata al Festival Verdi dell'ottobre scorso, è lineare e pulita e consente di cogliere subito lo svolgimento della vicenda, ambientata in nuove scenografie semplici ma efficaci di Federico Lozzi. Motivo conduttore è anche ad Ancona il letto: sontuoso, lussurioso e lascivo nella corte di Mantova, dignitoso ed essenziale nella casa di Gilda, improvvisato pagliericcio nel rifugio di Sparafucile. Scrive nel programma di sala il regista a proposito dei letti: “una specie di fil rouge, a rilevare un'unica visione della vicenda”. Un sipario delimita i momenti più intimi; particolarmente riuscito l'interno-esterno del terzo atto. I costumi di foggia rinascimentale sono di Susanna Rossi Jost; anche qui c'è la comparsa sui coturni.
Bruno Bartoletti ha diretto la Filarmonica Marchigiana privilegiando la tinta cupa che esprime la maledizione, caratteristica dello spartito. Il Maestro ha mantenuto tempi scanditi e controllati, con un giusto equilibrio nel sottolineare le sfumature senza ingigantire i momenti da “lessico popolare”.
Il Rigoletto di Vladimir Stoyanov si discosta dai modelli di tradizione che ne esasperano l'aspetto grottesco, a favore di una gravitas che ne accentua il ripiegamento interiore e la sofferenza composta e trattenuta, un Rigoletto provocatorio e beffardo all'interno della corte, amorevole e premuroso in famiglia. Stoyanov ha sfoggiato un fraseggio morbido e attento, registri bilanciati e un'emissione agevole, ben sostenuta ed incisiva nel rendere il ventaglio emozionale (ma composto) del personaggio. Ripetitivo ed efficace il gesto di lasciar oscillare la marionetta in mano, come l'uomo in balìa di un destino avverso a cui non ci si può opporre.
Non ha brillato ma neppure deluso Annick Massis; la sua Gilda non è la vergine angelicata ma una giovane donna appassionata, animata da un sentimento talmente profondo che ne giustifica l'assurdo sacrificio. All'inizio è parsa meno precisa, poi è cresciuta nel corso della recita. In “Caro nome” i trilli sono poco luminosi ed i passaggi dalla coloratura al canto drammatico sono risolti poco agevolmente.
Stephen Costello è un Duca disinvolto a livello scenico ma non convincente dal punto di vista vocale. L'emissione forzata (ingolata) limita la sensualità e la fatua leggerezza, caratteristiche della parte. E non lo aiutano le difficoltà di pronuncia. “Parmi veder le lagrime” è debole e la cabaletta successiva è in pratica senza sovracuto; “La donna è mobile”, privata del necessario squillo luminoso, denota un registro alto sempre forzato e compresso.
Debole vocalmente ma avvenente nell'aspetto (al punto da sedurre anche il fratello) la Maddalena di Stefanie Irànyi, dalle lunghe e pericolose gambe. Ancora più debole lo Sparafucile di Arutjun Kotchinian, inudibile nei momenti di assieme. Francesco Palmieri è un Monterone profondo (la maledizione è nodale nello svolgersi dell'opera) e Tiziana Tramonti è un'adeguata Giovanna, la serva scaltra che prende i soldi dal Duca, li sperimenta con un morso e poi li infila nella scollatura.
Con loro Giovanni Guagliardo (Marullo), Pietro Picone (Borsa), Giacomo Medici (Conte di Ceprano), Olga Maria Salati (Contessa di Ceprano), Valentina Chiari (paggio), Gianni Paci (usciere) e il coro lirico marchigiano.
Teatro esaurito, pubblico rumoroso e plaudente continuamente sopra la musica, come a un concerto rock.
Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 26 febbraio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Delle Muse
di Ancona
(AN)