In attesa della nuova produzione di “Otello”, il titolo più atteso della stagione genovese, il Carlo Felice nell’anno del bicentenario verdiano ripropone il suo Rigoletto, che avevamo già avuto modo di vedere la primavera scorsa, affidato alla prestigiosa bacchetta di Fabio Luisi.
Nonostante sia nato come allestimento “low-cost”, realizzato con materiali scenografici “di scarto” reperiti nei magazzini del teatro, non è affatto polveroso e, oltre ad essere esteticamente gradevole, risulta efficace per lo sviluppo drammaturgico.
Lo scenografo Enrico Musenich ha reperito fondali dalle eleganti architetture rinascimentali in bianco e nero che illuminati di rosso (luci di Luciano Novelli) suggeriscono un’ambientazione adatta per la raffinata corte di Mantova. Sfarzo e dissolutezza di corte sono amplificati dall’uso di tableaux vivants di cortigiane stilizzate e discinte e dai movimenti coreografici di dame, efebi e putti alati in un tripudio di ori e bagliori metallici (belli i costumi tradizionali di Regina Schrecker).
Con un cambiamento a vista la corte s’inabissa, dall’alto calano pannelli frondosi e davanti ai nostri occhi avanza una casetta di pietra a due piani con tanto di muro di cinta e cortile, mentre di lato si crea una zona d’ombra, destinata al rapimento e all’agnizione finale.
Il lungo cambio scena a vista, con tanto di rumori, prove luci, attrezzerie a tutto campo è un omaggio nei confronti di un teatro (e di un palcoscenico) dalle grandi potenzialità e non a caso riceve un applauso commosso da parte del pubblico.
Per il terzo atto la casetta vista dal retro ricrea l’interno della locanda di Sparafucile e di lato una barca contro un inquietante cielo plumbeo e brumoso suggerisce la notte di tempesta sulle rive del Mincio.
Il baritono fiorentino Rolando Panerai, con la collaborazione di Vivien A. Hewitt, ha firmato la regia di uno spettacolo tradizionale e se vogliamo didascalico, ma funzionale per rappresentare la vicenda con giusta naturalezza. I personaggi non sono stereotipati né eccessivamente caricati e si evita la banalizzazione: Rigoletto è gobbo, ma non deforme, e viene sottolineato il gesto di mettersi e togliere la giubba (e si pensa a Pagliacci !) per distinguere la realtà dalla finzione, ovvero la “falsa” dimensione pubblica da quella privata; Gilda è giovane e pura ma non così sprovveduta e anche Maddalena acquisisce una luce nuova quando, chiudendo il sacco, capisce che si tratta di una donna e ne rimane turbata intuendone il sacrificio d’amore.
Se si continuano ad apprezzare regia ed impianto scenografico, qualche perplessità desta il cast vocale.
Carlos Almaguer è un Rigoletto vocalmente tonante e possente ma stilisticamente estraneo al canto verdiano; il cantante sembra avere un approccio verista e spesso risolve con un parlato frasi che, seppur scolpite e incisive, andrebbero comunque cantate. La mancanza di un canto ben modulato e ricco di accenti si traduce anche a livello interpretativo e il personaggio non è colto in tutte le sue sfaccettature.
Stilisticamente più adatta la Gilda di Cinzia Forte. Se “Caro nome” è un po’ prudente e si avvertono dei limiti nelle colorature e negli acuti, nel corso dell’opera dà vita a una Gilda interessante e moderna dal punto di vista drammatico e convincente per musicalità e precisione vocale.
Shalva Mukeria ha voce gradevole di timbro chiaro adatta al Duca, ma si avvertono limiti di dizione ed emissione e la prova ha esiti alterni: la voce non sempre riesce a tradurre lo slancio e la baldanza del Duca e funziona meglio nei momenti di ripiegamento lirico come in “Ella mi fu rapita”.
Bene Gianluca Buratto, uno Sparafucile temibile dalla bella voce scura e gestualità curata che rendono credibile il ruolo dell’assassino. Scenicamente disinvolta, molto sensuale senza essere sguaiata, la Maddalena di Nino Surguladze dalla vocalità apprezzabile.
Anna Venturi è una discreta Giovanna. Fra i comprimari Claudio Ottino è Marullo, non male il Monterone di Seung Pil Choi. Buono il Conte di Ceprano di Alessio Bianchini, Simona Marcello è un’avvenente Contessa.
Concludono il cast Enrico Salsi (Matteo Borsa), Gianpiero Barattero (un usciere) ed Elisabetta Valerio (un paggio della duchessa).
Il motivo d’interesse della ripresa è la presenza sul podio di Fabio Luisi: la sua direzione vibrante è caratterizzata da un’estrema mobilità del ritmo e dei pesi sonori che traducono e anticipano la varietà di sentimenti e situazioni che agitano il dramma. Una direzione sfumata e perfettamente calibrata che non mette in difficoltà le voci ed esalta con tempi perfetti la varietà dinamica dello strumentale.
Buona la prova del Coro preparato da Patrizia Priarone.
Un pubblico decisamente caloroso ha dimostrato il proprio apprezzamento nei confronti dello spettacolo e di tutti i suoi interpreti.