Lirica
RIGOLETTO

Fuori dal luna park

Fuori dal luna park

Il tema del Festival 2015 è Nutrire l’anima e si richiama a Expo Milano, proponendo quattro titoli in qualche modo legati al cibo: Rigoletto, Cavalleria Rusticana, Pagliacci e Bohème, dopo la straordinaria lectio magistralis inaugurale di Vito Mancuso. Francesco Micheli ha poi costruito intorno allo Sferisterio una serie di appuntamenti che completano la programmazione nelle varie ore del giorno e nelle sere in cui non c’è recita in Arena.

Il Rigoletto che apre la stagione lirica chiude la trilogia verdiana proposta in tre anni ed è un nuovo allestimento. Federico Grazzini ha spostato la vicenda a oggi e l’ha ambientata all’ingresso di un luna park abbandonato, dove si aggira una banda di malavitosi alle dipendenze di un signorotto. La scena fissa di Andrea Belli lascia visibile l’alto muro in mattoni e contorna l’apertura centrale con la bocca spalancata di un pagliaccio. Ai lati tende bicolore a forma di casetta, quelle a strisce bianche e rosse dei circhi per intenderci, con vicino il baracchino dei biglietti. Una roulotte sulla destra e un camioncino-bar sulla sinistra consentono di ricreare la casa di Gilda e la locanda di Sparafucile. Alti lampioni illuminano il piazzale al di fuori del luna park, dove sostanzialmente avviene tutto. I costumi di Valeria Donata Bettella chiariscono il tempo dell’azione e sono appropriati alle scelte registiche e di buon gusto. Perfette le luci di Alessandro Verazzi che, pur privilegiando effetti naturalistici, conferiscono allo spettacolo i toni di una cupa drammaticità che scivola nell’incubo.
Grazzini affronta l’opera con coerenza e attinenza a testo e musica. La regia mantiene i caratteri del libretto e i pesi dinamici tra i personaggi che restano praticamente identici. Nessuno stravolgimento, dunque; anzi, la scelta di Grazzini di far apparire in scena nel finale il fantasma di Gilda, che sulla carta poteva lasciare dubbi, ha invece risolto quello che forse è un limite drammaturgico, la lunghezza della scena con Gilda morente dentro il sacco tra le braccia del padre e i suoi acuti a piena voce. L’omicidio avviene nel camioncino di Sparafucile e il sacco viene gettato fuori; Rigoletto resta solo, il furgone pian piano si sposta e, nell’ombra, si vede Gilda in sottoveste bianca, replicata da una controfigura nel sacco: il dialogo tra lei e il padre, perfettamente coerente con le parole cantate, è credibile, emozionante e avvincente.

Francesco Lanzillotta sceglie un allargamento dei tempi evidentemente necessario a lasciar spiegare il canto e al raccordo tra l’allungata buca e il grande palco ma l’appiombo non sempre riesce. Il giovane direttore dirige con buon senso della musica e grande sensibilità delle diverse componenti della partitura.

Vladimir Stoyanov è Rigoletto, il clown del luna park che si traveste per far divertire la banda di malavitosi e prestare piccoli servizi al suo capo; non ha una vera e propria gobba ma, considerato “diverso” dagli altri, finisce con l’assumere una posa sghemba con le spalle asimmetriche che aumenta man mano che l’opera va avanti e soprattutto quando è in mezzo agli altri. La voce del baritono è morbida e duttile, l’emissione calibrata con buona tecnica e la pronuncia curata; nonostante il peso vocale per il ruolo non sia particolarmente spiccato, si sono apprezzati i lunghi fiati e il modo garbato di porgere il canto in adesione con il personaggio che finisce a braccia allargate davanti alla bocca del clown, che pare urlare all’infinito la maledizione in un incubo senza fine.
Durante il prologo Gilda e Giovanna si sistemano nella roulotte trovata per loro da Rigoletto e, in effetti, nel primo atto si fa riferimento al loro recente trasferimento e all’incontro padre-figlia avvenuto qualche settimana indietro. Jessica Nuccio è una Gilda spaesata e che fatica a rapportarsi a un ambiente sconosciuto e chiaramente ostile e violento; il soprano ha voce dolce e buona presenza scenica e, se le agilità in “Caro nome” sono parse leggermente frenate al cospetto dell’ampio spazio aperto, la voce ha pienamente convinto per i toni sinceri e partecipi. Grande merito, nel primo atto, va alla Giovanna di Leonora Sofia, attorialmente straordinaria: gli ampi gesti delle braccia, il muoversi non in linea retta nelle grandi scarpe, il ruolo determinante nei fatti espresso con una mimica facciale intensa.
Celso Albelo ha iniziato in maniera cauta per poi fornire una prestazione eccellente con prodiga vocalità; la pienezza del registro centrale dà massimo risalto alla componente lirica e amorosa del canto. Se gli acuti sono muscolari e senza scalfiture, le note piene e sicure si accompagnano a uno stile maturo declinato in dizione perfetta e accompagnato a un ottimo senso della recitazione.
Ha conquistato il pubblico, meritatamente, lo Sparafucile di Gianluca Buratto: voce scurissima, da brivido, usata con grande sapienza nei centri spessi e materici e nei gravi ampi e profondi come laghi di notte. Accanto a lui, di gran lusso la Maddalena di Nino Surguladze, abbigliata da prostituta come le altre ragazze su tacchi vertiginosi e con microvestiti che ronzano attorno al furgone-bar.
Adeguati vocalmente Alessandro Battiato (Marullo), Giacomo Medici (Conte di Ceprano) e Ivan Defabiani (Matteo Borsa), peraltro assai bravi nella recitazione. Deludente il Monterone di Mauro Corna: il ruolo è breve ma fondamentale per il senso della storia; qui la maledizione è calante e non risuona con tono abbastanza drammatico. Con loro Rachele Raggiotti (Contessa di Ceprano), Vladimir Mebonia (Usciere) e Silvia Giannetti (Paggio della duchessa): “Al suo sposo parlar vuol la duchessa” ben si accompagna al gesto del porgere il cellulare che ha in mano. Il coro lirico marchigiano, preparato da Carlo Morganti, bene esegue il coro a bocca chiusa nella scena della tempesta e degnamente sta in scena in linea con i dettami registici.

Visto il 17-07-2015
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)