La stagione scaligera si chiude con il Rigoletto di Gilbert Deflo, spettacolo nato nel 1994 e da allora ripreso ben sette volte, divenendo ormai un classico che non ha ammesso concorrenza a Milano. Un allestimento di impronta tradizionale e rassicurante nelle scene e nei costumi rispettivamente di Ezio Frigerio e Franca Squarciapino che ricreano sontuosamente il Cinquecento, ma che appare scontato e statico nella regia, come da noi evidenziato in occasione di due precedenti edizioni dello spettacolo le cui recensioni sono presenti nel sito. Ci è particolarmente piaciuta la scena del terzo atto, che pare lo “scheletro” della reggia del duca: infatti l'angolazione dello spazio è la stessa e quei muri di mattoni spogli rimandano a un edificio privato di tutti gli orpelli decorativi.
La direzione di Gustavo Dudamel, artista a cui si riconosce senza ombra di dubbio un talento non comune, ha destato perplessità, in quanto dimostra cura nella parte strumentale ma non sottolinea i risvolti drammatici e psicologici insiti nella partitura. Soprattutto nei tempi, a momenti allargati e a momenti volti al prestissimo, si è percepito uno scollamento tra voci e orchestra: questo è uno spettacolo di tradizione e decisamente incentrato sulle voci, per cui forse avrebbe richiesto maggiore sincronia fra buca e palcoscenico. Soprattutto ci si sarebbe aspettati da Dudamel una visione d'insieme con maggiore carattere, più in grado di rendere le dinamiche della partitura.
Per capacità tecnica e interpretativa ha pienamente convinto la Gilda di Elena Mosuc, la quale, con acuti sicuri, canto cesellato e giuste colorature, ha tratteggiato una fanciulla sensibile, matura e consapevole, seppure nella recita a cui abbiamo assistito è parsa piuttosto freddina rispetto ad altre occasioni in cui l'abbiamo ascoltata nel ruolo. Vittorio Grigolo è brillante e si sa ben muovere sul palcoscenico, sempre disinvolto e credibile anche quando calca sul pedale del “giovanile”; appare evidente che il tenore ha aumentato il suo mezzo in questi anni, riuscendo però a non intaccare l'acuto che è sempre saldo e sicuro, oltre che facile e bello, forte di un fraseggio ben padroneggiato che gli garantirebbe anche un maggior approfondimento dei risvolti psicologici del personaggio. George Gagnidze non brilla nel ruolo del titolo sia vocalmente che nella presenza scenica. Meglio i comprimari: Alexander Tsymbalyuk è uno Sparafucile scurissimo e dalla pronuncia curata, Ketevan Kemoklidze è una Maddalena parimenti scura e impeccabile nella dizione, Mario Cassi un Marullo preciso e incisivo. Meno temibile che in passato il Monterone di Ernesto Panariello, poco a fuoco e oscillante la Giovanna di Anna Victorova. Con loro Nicola Pamio (Matteo Borsa), Andrea Mastroni (Conte di Ceprano), Evis Mula (Contessa di Ceprano), Valeri Turmanov (Usciere) e Rosanna Savoia (Paggio). Coro ottimamente preparato da Bruno Casoni. Allo spettacolo partecipa, nel primo atto, il corpo di ballo del teatro.
Teatro esaurito, pubblico freddo e applausi misurati sia durante la recita che nel finale.
Dopo questo tradizionale Rigoletto, che ha chiuso una stagione con molti allestimenti splendidi, gli sguardi sono per la prossima, dedicata quasi esclusivamente a Verdi e Wagner e in procinto di essere inaugurata con l'atteso Lohengrin di Daniel Barenboim, Claus Guth e Jonas Kaufmann.