Federico Grazzini, per l'ambientazione della vicenda, ha pensato ad un vecchio luna park semi abbandonato, al centro del quale troneggia l'enorme maschera di un inquietante pagliaccio stile Joker
Terza opera inserita nel cartellone del Macerata Opera Festival è Rigoletto, ri-proposto nell’allestimento prodotto dall’associazione Arena Sferisterio nel 2015: un titolo che ben in-carna il sentimento del possesso che, insieme a gelosia e potere, è una delle parole chiave dell’edizione 2019 intitolata appunto #rossodesiderio.
Malinconia e degrado
Federico Grazzini, per l'ambientazione della vicenda, ha pensato ad un vecchio luna park semi abbandonato, al centro del quale troneggia l'enorme maschera di un inquietante pagliaccio stile Joker posto contro l'apertura di accesso al palcoscenico praticata nel grande muraglione di fondo dello Sferisterio. Intorno una serie di logore tende a strisce bianche e rosse, il baracchino dei biglietti, una roulotte, che sarà poi la casa di Gilda, e un camioncino per la vendita di bibite e panini che nel terzo atto, portato al centro del palcoscenico, fungerà da taverna di Sparafucile.
In questo contesto degradato, ben sottolineato dalle luci dalle tonalità piuttosto cupe di Alessandro Verazzi e dai bei costumi curati da Valeria Donata Bettella, si aggi-rano sbandati, prostitute e masse di festaioli in giacca e cravatta che ricordano molto certe scene de La grande bellezza. Lo spettacolo nel suo complesso funziona bene e, nella sostanza di fondo non si allontana di molto dalle richieste del libretto, se si eccettua la suggestiva idea finale di una Gilda che in punto di morte appare al padre già sotto forma di spirito e non come corpo reale rinchiuso all'interno del sacco.
La regia di Federico Grazzini, fra provocazione e stimolo alla riflessione, rivela un grande senso del teatro e si dimostra molto efficace, soprattutto nei movimenti delle masse che ri-sultano naturali e mai scontati. Triste la figura di Rigoletto, un clown privo di gobba che si veste e trucca malinconicamente, quasi spossato dalla vita, e che tenta, ovviamente senza riuscirvi, di spo-gliarsi di quei ridicoli panni e ottenere un riscatto attraverso la vendetta.
Un buon cast
Giampaolo Bisanti, alla direzione di una Orchestra Filarmonica Marchigiana in buona forma, stacca tempi piuttosto serrati, sempre però in un perfetto equilibrio fra passionalità e rifles-sione, fra forza dirompente del sentimento e intimo vagheggiamento. Enea Scala veste i panni di un duca di Mantova baldanzoso e supponente: la voce non è esattamente ‘verdiana’, ma evidente è la potenza del mezzo, solido nei centri e nei gravi, squillante negli acuti.
Claudia Pavone delinea una Gilda che possiede ancora tratti infantili, dotata di grazia e di uno strumento limpido e cristallino: notevole la cura delle dinamiche, le mezze voci risultano so-lide e piene, il legato curato.
Grande il Rigoletto di Amartuvshin Enkhbat che brilla per capacità interpretative e caratteristiche vocali. La sua figura di padre possessivo è ben meditata, sopraffino l’uso della parola cantata, notevole l’attenzione per il fraseggio che, unita alla bellezza del mezzo, aiuta a tratteggiare un personaggio davvero a tutto tondo.
Simon Orfila è uno Sparafucile che tende a sbiancare nelle note gravi, Martina Belli una Maddalena sensuale, ma che vocalmente convince solo parzialmente. Buoni tutti i comprimari ad eccezione del Monterone di Seung-Gi Jung che manca di voce e autorevolezza e lo stentoreo Marullo di Matteo Ferrara. Discreta complessivamente la prova del Coro.