Rigoletto chiude la stagione al teatro dell'Opera di Roma in un momento in cui, annunciata l'eternalizzazione di orchestra e coro (che equivale a un licenziamento per i dipendenti), il primo titolo della stagione 2014-15 (Aida diretta da Riccardo Muti) viene sostituito da Rusalka diretta da Eivind Gullberg Jensen (debutto 27 novembre), scelta che intriga i melomani con una partitura raramente rappresentata (è la storia della Sirenetta di Andersen) ma che probabilmente non riscuoterà pari successo da parte del pubblico. All'esterno del teatro una dipendente distribuisce timidamente, come scusandosi, volantini con l'invito a firmare una petizione contro il licenziamento con le parole di solidarietà di nomi noti; dentro il teatro disinteresse da parte del pubblico, salvo qualche timido applauso quando, prima dell'inizio, qualcuno grida dall'alto “Viva l'orchestra” e poi “Viva il coro”.
In tale frangente questa rappresentazione serve a orchestra e coro per dimostrare, coi fatti, i loro livello artistico e affidabilità. Renato Palumbo dirige con tempi serrati la partitura, sottolineandone l'impeto e il fuoco ma senza che tutto si traduca semplificando in fretta incontrollata e incalzante, anzi mantenendo sempre il timone nella giusta direzione con molta classe. Se in alcuni momenti il suono è parso importante dal punto di vista del volume, questo non ha assolutamente intaccato il risultato complessivo, anche per i momenti di grande forza poetica come “Caro nome” e il duetto del terzo atto con Rigoletto e Gilda, oltre alla chiusura del secondo atto allargata in modo suggestivo. I colori orchestrali sono esaltati e i valori musicali evidenziati al punto che il ritmo narrativo disegna un arco continuo che non concede pause allo spettatore, guadagnando in termini di una espressività teatrale che non si perde dietro ai particolari.
Giovanni Meoni è un Rigoletto di buon mestiere e di solida preparazione; se la voce pare in alcuni momenti non eccessivamente drammatica, tuttavia il baritono dimostra uno stile e un'interpretazione di impostazione verdiana di notevole intensità e resa teatrale e la qualità dell'emissione è alta. Piero Pretti è un Duca dalla voce pulita e sicura, che non teme le salite all'acuto e mantiene sempre il controllo del mezzo, puntando su un'espressività ricercata e chiara e reggendo senza fatica la linea pur non arricchendone la dinamica. Vicino a loro non risalta la Gilda di Ekaterina Sadovnikova: all'inizio la voce appare lontana e debole, poi recupera nel prosieguo pur mantenendo qualche asprezza e rigidità nelle colorature di “Caro nome” e nei passaggi di registro che causano un alleggerimento del peso vocale nel medio e nel grave. Importanti ma poco morbide le voci di Goran Juric (Sparafucile) e Alisa Kolosova (Maddalena) che spingono sugli attacchi. Brava Marta Torbidoni (Giovanna). Con loro, adeguati nei ruoli, Italo Proferisce (Monterone), Marco Camastra (Marullo), Pietro Picone (Matteo Borsa), Leo Paul Chiarot (Ceprano), Laura Bertazzi (Contessa di Ceprano), Stefania Rosai (Paggio) e Francesco Luccioni (Usciere). Ottima la prestazione del coro preparato da Roberto Gabbiani, soprattutto nelle mezzevoci e nella resa timbrica, oltre che nella prestazione attoriale.
Leo Muscato dimostra per l'ennesima volta come sia possibile creare un bellissimo spettacolo avendo a disposizione pochi mezzi economici. La scena di Federica Parolini è solo evocata, suggerita in modo che nulla sia quello che appare e realizzata con tende che delimitano il palco e ne isolano alcune porzioni per la necessaria intimità di alcune situazioni: la camera del duca (broccati sfarzosi) e quelle di Maddalena e Gilda (veli meno pregiati), dove pochi pezzi ma azzeccati di mobilio consentono di ambientare perfettamente l'azione. I veli svelano e nascondono, consentendo di osservare da fuori la vita degli altri e dimostrando come la distanza tra vita pubblica e privata sia abissale (la “maschera” imprigiona l'uomo). I costumi di Silvia Aymonino spostano in avanti l'azione, tra Otto e Novecento, conferendo alla storia una maggiore pregnanza per il tema maschera-persona evidenziato (discutibile che il Duca nel terzo atto sia vestito da militare). Fondamentali per la riuscita dello spettacolo le luci di Alessandro Verazzi: i fari a vista aumentano il senso della teatralità della rappresentazione e le luci sceniche sono perfette, capaci di trasformare le stoffe in alberi e nuvole e di creare uno straordinario gioco di chiaroscuri all'interno di un buio che inghiotte tutto e tutti.
Il regista viene dalla prosa e conosce come si debbono muovere i cantanti, ma soprattutto conosce e sa insegnare la gestualità e la mimica appropriate: ogni gesto e ogni movimento sono tesi a dare evidenza al libretto con un senso di profondo rispetto per l'autore e di grande chiarezza per gli spettatori, anche stranieri. I movimenti dei protagonisti e del coro sono studiati in ogni dettaglio e perfetti e i gesti aumentano l'espressività del cantato. Alcune idee sono assai efficaci, come aprire e chiudere circolarmente lo spettacolo con Rigoletto che ha in mano la sciarpa di Gilda e il tentativo, fallito, di evitare l'uccisione di Gilda a opera di Sparafucile nel momento in cui Maddalena se la trova davanti e la riconosce (Maddalena che, giustamente, era stata presente al primo incontro tra il fratello e Rigoletto).
Il pubblico resta avaro di applausi per uno spettacolo bello e intelligente, ben suonato e cantato che fortunatamente sarà ripreso già a febbraio prossimo (dal 4 all'8 febbraio per 5 recite) come consuetudine in importanti teatri lirici nel mondo.