Il Rigoletto di Turturro funziona e piace, soprattutto grazie alla buona prestazione dei cantanti principali. Buona la prova dell’orchestra e del coro.
La curiosità suscitata dalla regia di John Turturro è in parte delusa da un allestimento privo di un carattere spiccato; il Rigoletto, tuttavia, funziona e piace, soprattutto grazie alla buona prestazione dei cantanti principali.
Tra Cinquecento e Settecento
Com’è noto, la fonte del libretto di Rigoletto, pazientemente elaborato da Francesco Maria Piave tra le pressanti richieste di Verdi e i vincoli imposti dalla censura, è il dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo, incentrato su una fosca vicenda che si svolge al tempo di Francesco I di Francia, ossia al principio del XVI secolo. Per motivi di convenienza politica, l’azione del melodramma italiano venne trasportata alla corte di un imprecisato duca di Mantova, sempre però in quello stesso periodo storico.
Al Teatro Massimo di Palermo, il Rinascimento è evocato dalle ambientazioni cupe e austere immaginate da Francesco Frigeri: facciate deturpate dal tempo, ambienti fastosi ma cadenti, statue, citazioni della Sala dei Giganti di Giulio Romano... Prevale, tra i fumi di una nebbia impalpabile, il tratto obliquo: la linea che delimita i profili degli edifici è quasi sempre inclinata, come a raccontare una realtà precaria e instabile forse perché minata dalla diffusa corruzione morale che coinvolge tutti i personaggi dell’azione, con l’eccezione di Gilda, non a caso destinata a perire.Il Cinquecento della cornice, tuttavia, dialoga con il Settecento dei costumi disegnati da Marco Piemontese, pure prevalentemente scuri ma attraversati da bagliori punk nel caso di Sparafucile e Maddalena. Dappertutto circola un senso di minaccia incombente, di chiusura senza scampo, di destino inesorabile. L’unico lampo di luce è il candore immacolato dell’abito di Gilda, che un po’ didascalicamente rivela una sottoveste rossa nel momento cruciale in cui la fanciulla confessa al padre l’onta subita.
La regia di John Turturro non riserva grandi sorprese. Anziché tentare una lettura complessiva dell’opera, l’artista italoamericano sembra affidarsi a singole trovate. Alcune di queste – come la gestualità meccanica imposta al coro nel primo atto o il vorticoso roteare di figure incappucciate mentre infuria la tempesta del terzo – appaiono di dubbio gusto. Altre, però, risultano teatralmente efficaci e toccanti. Nella scena finale, ad esempio, l’apertura del sacco non rivela il corpo di Gilda, ma un drappo rosso (di nuovo il rosso) che simboleggia il sangue della ferita mortale; la figlia di Rigoletto, intanto, appare con incedere lento dal lato sinistro della scena, già quasi fantasma in ossequio al processo di trasfigurazione verso il quale la musica la sospinge.
Le metamorfosi di Gilda
È Maria Grazia Schiavo a dare voce e volto alla protagonista. Il soprano napoletano offre un ritratto a tutto tondo del personaggio verdiano e ne accompagna la progressiva discesa sulla terra e il successivo ritorno al cielo: prima «fata od angiol», come esclama Marullo, poi sempre più donna – innamorata, violata, tradita – e infine simbolo del sacrificio supremo per amore. La Schiavo fraseggia con eleganza e domina con sicurezza i passi di agilità, ma sa anche trovare accenti drammatici convincenti e corposi. La sua personale esplorazione del grande repertorio ottocentesco prosegue dunque con successo dopo le già felici tappe di Traviata e Lucia.
George Petean è un Rigoletto energico e vocalmente impeccabile, capace di restituire i diversi colori del tragico buffone lungo una gamma che va dall’ironia beffarda alla disperazione. Nei panni del duca di Mantova, Stefan Pop (che ha sostituito Giorgio Berrugi) canta con slancio e generosità, trascinando il pubblico all’applauso nei brani favoriti.
La direzione di Stefano Ranzani parte un po’ sotto tono per poi guadagnare incisività e vigore. Resta tuttavia la sensazione di un gesto trattenuto, che centra gli obiettivi espressivi della partitura ma non li esplora fino in fondo. Buona la prova dell’orchestra e del coro.
La sala, strapiena, saluta tutti gli artisti con entusiasmo.