Milano, teatro alla Scala, “Rigoletto” di Giuseppe Verdi
RIGOLETTO NELLA TRADIZIONE
Sulla tinta cupa delle trombe si odono echi di tamburi e dominano i violini veloci e tempestosi nell’attesa incombente del compiersi della maledizione che caratterizza tutto lo spartito. Il sipario si alza e rivela un impianto scenografico tradizionale (Ezio Frigerio), colonne scanalate su alti basamenti, oro e legno scuro, costumi sontuosamente quattrocenteschi nei colori del marrone in infinite gradazioni (Franca Squarciapino).
L’ingresso di Rigoletto è con una marionetta in mano, lui stesso marionetta nelle mani di un destino crudele e ingrato, che mischia amore e morte, forse attivato dalla maledizione di Monterone che tuona sopra gli archi scuri. Leo Nucci da anni frequenta il ruolo e sempre con risultati ottimi: nella voce e nell’atteggiamento è beffardo e maligno nella prima parte, quanto amorevole e premuroso nella seconda. Anche se in alcuni momenti corre il rischio di mettere in scena il Rigoletto stereotipato che il pubblico si aspetta, Nucci è davvero grandissimo.
Durante il cambio scena Riccardo Chailly dà dei suggerimenti ai fiati su come vuole alcune emissioni, io sono in un palco laterale e riesco a vederlo, anche in seguito, anche con i cantanti. Durante tutta l’opera il maestro dirige orchestrali e cantanti con autorevolezza e piglio deciso, con una notevole precisione e una sonorità drammatica che ben si addice all’opera. Il pubblico ha apprezzato e fatto sentire generosamente molto calore, tributando il giusto merito anche all’orchestra e al coro, ottimi.
Dopo il sontuoso palazzo del duca di Mantova, un sipario teatrale fa da sfondo al camminare di Rigoletto, poi l’ambiente domestico dominato da una luce livida che proietta un’ombra lunga sul muro di mattoni scrostati. L’incontro con Sparafucile (un bravo Marco Spotti dalla voce scurissima) è accompagnato dal violoncello solista e poi dagli archi gravi pizzicati. Alla casa di Rigoletto si accede da una scala nel muro, uscendo dal basso, come dagli Inferi: un doppio piano che crea un divario in altezza tra dentro e fuori.
La regia di Gilbert Deflo è tradizionale, in grado di muovere sapientemente il coro, i protagonisti e le comparse. Uno spettacolo nato anni fa e divenuto un classico. E questo è forse anche il suo limite, oggi.
Nel ruolo di Gilda Andrea Rost non ha brillato ma neppure deluso, fornendo una prestazione elegante seppure poco comunicativa, invece brutta prova de ltenore Piotr Beczala: deludente nel primo atto, meglio nel secondo, arriva al terzo con la voce che si spezza nell’acuto finale dell’attesissima “La donna è mobile”, tra il mormorio di tutto il pubblico ed un timido applauso di incoraggiamento da uno sparuto gruppo in un palco. Particolare la Maddalena di Mariana Pencheva, mora, fisico del ruolo, voce corposa e dizione non perfetta. Con loro bene hanno fatto Tiziana Tramonti (Giovanna), Ernesto Panariello (Monterone), Luca Casalin (Borsa), Guido Loconsolo (Ceprano) e Marco Calastra (Marullo). Nel cast anche Nicoletta Zanini, Raffaella D’Ascoli e Antonio Stragapede.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 26 gennaio 2006