Lirica
RIGOLETTO

Rigoletto negli inferi della mente

Rigoletto negli inferi della mente

La stagione dell'Opera di Firenze si segnala all'attenzione per la coesistenza di titoli di richiamo e proposte inusuali; in mezzo ai due poli di attrazione si pone questo Rigoletto, una produzione del Regio di Parma di una quindicina di anni fa che, pur restando nel solco della tradizione, propone originali punti di vista e di riflessione da parte del regista Henning Brockhaus e che ci piace venga riproposta a Firenze: i teatri dovrebbero riscoprire più spesso le belle produzioni che sono nei magazzini, magari di altre fondazioni.

La scena di Ezio Toffolutti è uno spazio unico rosso che pare enorme e vuoto all'occhio dello spettatore; il senso della teatralità è accentuato dalle quinte laterali sostenute da cantinelle e corde; nel fondale si aprono porte inclinate che danno l'idea di aprirsi direttamente sugli inferi. Gli attrezzi di scena sono quelli funzionali a un'azione non strettamente filologica e rimandano a un generico Rinascimento, come anche i bei costumi di Patricia Toffolutti. Le luci di Sergio Rossi sono essenziali a rendere l'incubo notturno.
Il regista parte da un senso teatrale e circense della vicenda e la popola di saltimbanchi e figure grottesche che restano sempre sul palco, impegnati nelle scene principali o nelle controscene oppure semplicemente fermi o con movimenti rallentati, tutto curato da Valentina Escobar: se nel primo atto la loro presenza è giusta e funzionale, nei successivi diventa pleonastica se non addirittura infastidente.
L'atmosfera è cupa e notturna, come a rimarcare il proibito e il lussurioso. Centrale la seconda parte del primo atto: la camera di Gilda è come sospesa nel vuoto, piccolissima casa di bambola dove la ragazza viene protetta e "costretta" a una infanzia ormai invece anagraficamente superata. Il letto è una culla e il padre si premura di chiudere la sponda, lei nasconde sotto la culla le scarpe rosse coi tacchi e sotto il cuscino il cappello da gran dama, stringendo al petto un bambolotto. L'utilizzo dello stesso ambiente per i tre atti crea un effetto di straniamento, come una sorta di circuito mentale.

La direzione di Zubin Mehta è solenne e ieratica, allargata nell'inizio che suona di wagneriana potenza, allargata anche nel prosieguo, in modo da scavare nelle pieghe della partitura alla ricerca di quanto di infernale e notturno possa trovarvi e lo esalta con le sezioni di archi e fiati unite nel buio di un suono efficacissimo (orchestra in stato di grazia).

Ambrogio Maestri è un Rigoletto privo di gobba che utilizza la sua monumentale presenza impostandola come elemento di diversità, quella diversità che va combattuta in quanto fa paura per essere non in linea con l'ordine costituito, in questo caso imposto dalle brame del duca; la voce è potente ma capace di esprimere tutto il dolore del padre affranto. Arturo Chacòn-Cruz è un generoso Duca di Mantova dal timbro particolare e con notevole estensione seppur privo di squillo luminoso e cristallino ma l'emissione è omogenea e il fiato sempre ben sostenuto; il tenore riscuote il consenso unanime del pubblico anche per la totale adesione attoriale. Così anche la Gilda di Christina Poulitsi, la voce pulita e trasparente, la grande sicurezza nelle agilità, la convincente immedesimazione nel ruolo di cui coglie ogni risvolto. Appropriati lo Sparafucile di Giorgio Giuseppini e la Maddalena di Anna Malavasi, più signorili del solito, seppure la loro scena convince scenograficamente meno del resto per la inutile presenza dei figuranti di cui si è detto. Appropriati i ruoli di contorno: Konstantin Gorny (Monterone, la cui figlia viene oltraggiata dal nano di corte davanti a tutti con grande crudezza), Italo Proferisce (Marullo), Luca Casalin (Matteo Borsa), Nicolò Ceriani e Sabrina Testa (Conte e Contessa di Ceprano). Completano il cast Vito Luciano Roberti (Usciere), Irene Favro (Paggio), Giuliano Del Taglia (Clown) e i numerosi figuranti. Il coro è stato ottimentente preparato da Lorenzo Fratini.

Tutti i cantanti e in particolare Zubin Mehta sono stati lungamente applauditi sia a scena aperta che nel finale da un teatro esaurito in ogni ordine di posti.

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)