Con questo nuovo Rigoletto, il teatro Verdi di Padova porta a termine un progetto che prevedeva la rappresentazione dell'intera trilogia popolare verdiana e che ha visto nel 2008 l'allestimento di Traviata e nel 2009 quello del Trovatore.
Ad occuparsi di regia, scene, costumi, coreografie e luci Stefano Poda, che ha realizzato uno spettacolo affascinante e di straordinaria qualità, forse difficile da analizzare in tutte le sue pieghe, i suoi dettagli, i suoi simboli, le sue implicazioni, ma che va goduto e fruito nella sua interezza e complessità, in quanto opera d'arte globale. Poda stesso, nelle note di regia, spiega come non esistano messe in scena definitive e come “tutto quanto viene detto, mostrato, descritto, spiegato, o al limite simbolizzato, ha soffocato lo sviluppo della conoscenza 'interna' che è scoperta di sé”. Ecco che qui dunque “il simbolo viene offerto come una sorta di strumento ottico affinché chi vede ed ascolta, veda ed ascolti la storia della propria anima”. Ne consegue una regia concettualmente complessa, sicuramente leggibile a più livelli, ma allo stesso tempo scorrevole e fruibile da parte di tutti, non fosse altro che per una sua innegabile bellezza intrinseca.
La scena si articola in quattro spazi, tra loro comunicanti attraverso ampie porte, che, mediante una piattaforma girevole, nel corso della rappresentazione si avvicendano con una certa frequenza; grazie all'abile uso delle luci ed a una nebbiosità misteriosa che spesso li pervade, essi sembrano poi di volta in volta quasi mutare aspetto. Il primo ambiente è una stanza dalle pareti nere, lucide e riflettenti: al centro un grande futon nero e, ai lati, frammenti di statue equestri bianche, un leone di San Marco, ali e colonne recanti alla sommità busti umani tortili di fattura ellenistica con chiari riferimenti al genio di Skopas. Segue un ambiente sempre scuro, quasi totalmente ingombrato da una struttura in metallo e corde, sormontata da figure umane nude, scabre in superficie, nell'atto di coprirsi il volto mentre sono trafitte nel petto da frecce. Il terzo spazio è, invece, una stanza ove campeggiano, inseriti su pareti argentate, volti di uomini e donne somiglianti quasi a maschere funerarie; al centro, in cubi trasparenti, figure umane stilizzate e parti anatomiche color bronzo che richiamano in qualche modo quelle di Raimondo di Sangro. Tutto muta, infine, nel quarto ambiente, quello in cui si rifugia Gilda e in cui essa si esprime e caratterizza: una specie di stanza/cortile candida, quasi abbagliante, su cui si spalancano imposte di finestre murate da mattoni e con al centro un altro futòn, speculare al precedente, ma bianco.
Le luci, generalmente fredde, ma con la tendenza a divenire per breve tempo calde e dorate nei momenti topici, fendono l'oscurità, ora squarciandola in modo netto, ora creando suggestivi chiaroscuri.
Splendidi i costumi, sontuosi e semplici allo stesso tempo, con tratti che richiamano il passato senza tuttavia imitarlo, in pelle nera o velluto viola ad eccezione di quello candido di Gilda e dei drappeggi rossi con i quali si coprono le donne seminude di cui si circonda il duca all'osteria in una scena di grande sensualità.
A completare il tutto, i movimenti talvolta rallentati di coro e protagonisti, affiancati da mimi di grande bravura che si muovono e contorcono accanto a loro.
All'altezza della performance anche il cast. Nella parte di Gilda, Gladis Rossi ha sostituito all'ultimo minuto Jessica Pratt che era indisposta. Nonostante ella non abbia avuto la possibilità di sostenere nessuna prova di regia, ha dimostrato grandi capacità attoriali e di gestione della scena che le fanno onore; ha interpretato il ruolo con una voce che, seppur caratterizzata da delicatezza di fondo, ha evidenziato sempre, unitamente a un timbro gradevole e pulito, capacità di controllo dell'emissione senza forzature. Estremamente “verdiana”, dal timbro morbido e corposo, la voce di Franco Vassallo, che ha interpretato la parte di un Rigoletto scenicamente molto versatile. Debutto assoluto sulle scene per Giordano Lucà che, nel primo atto ci è parso leggermente in difficoltà forse a causa dell'emozione, ma che successivamente si è ampiamente riscattato, mostrando di possedere uno strumento potente, una timbrica adeguata alla parte e di saper soprattutto mantenere l'intonazione. Giudizio molto positivo anche per la Maddalena in versione un po' sadomaso di Kendall Gladen e lo Sparafucile dal timbro profondo di Maurizio Murano. Con loro Milena Josipovic (Giovanna), Andrea Zese (Conte di Monterone), Gabriele Nani (Marullo), Max René Cosotti (Matteo Borsa), Gianluca Lentini (Conte di Ceprano), Miriam Artiaco (Contessa di Ceprano), Simonetta Baldin (Paggio della duchessa), Luigi Varotto (Usciere di corte).
Sul podio Pietro Rizzo ha diretto con grande vitalità e intensità l'orchestra regionale Filarmonia Veneta, curando molto bene la sonorità e la varie coloriture della partitura. Buona anche la prestazione del coro Città di Padova, la cui preparazione è stata curata dal maestro Dino Zambello.
Teatro esaurito, pubblico entusiasta.