Torino, teatro Regio, “Rigoletto” di Giuseppe Verdi
UN RIGOLETTO DELLA MIGLIOR TRADIZIONE
A Parma c’è un detto: “il Rigoletto è come il maiale, non si butta via niente!“ Quest’espressione dialettale riflette l’essenza di una delle opere più straordinarie di Verdi in cui nulla è superfluo e c’è veramente tutto: dramma psicologico e azione, il tragico e il comico, il pianto e il riso.
Le forme tradizionali di derivazione belcantista, le arie chiuse, sono inglobate in recitativi drammatici funzionali all’azione ma anche alla caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni con un senso di continuità e grande compattezza drammatica, sempre in equilibrio con l’ articolazione musicale.
Al teatro Regio di Torino è andato in scena dopo otto anni di assenza nel collaudato allestimento di Gianfranco Cobelli con scene e costumi di Paolo Tommasi (spettacolo presentato anche a Bologna e Napoli), ora ripreso da Ivo Guerra.
Bellissimo e particolarmente riuscito il quadro di apertura: oltre quinte specchiate scorrevoli e trasparenti (impianto che caratterizzerà anche gli atti successivi) si vede la scena di un’orgia illuminata di un rosso caldo, quasi pompeiano, in cui corpi seminudi s’intrecciano in un baccanale lascivo, confondendosi con i soggetti degli affreschi manieristi di Palazzo Te accennati sullo sfondo. Una grande abbuffata erotica che ricorda il Decameron di Pasolini e che ben inquadra l’ambiente libertino della corte di Mantova.
Il “palazzo“ viene poi ben suggerito all’inizio del secondo atto da una galleria formata da pannelli degradanti che danno una grandissima illusione prospettica il cui punto di fuga è il nero d’inchiostro dello sfondo. La scena è cupa e di una profondità infinita, come l’insaziabile bramosia del Duca che si aggira irrequieto, falco intorno al suo trono.
Le quinte sono altresì funzionali per delimitare la scena nel momento privato del confronto padre/figlia dove Rigoletto si aggrappa quasi nascondendosi dietro al trono per non “vedere “ la confessione della figlia rannicchiata per terra e schiacciata contro la parete.
Nel terzo atto elementi di paesaggio emergono fra le quinte, una chiesa di sfondo, un ponte, lo spaccato della locanda, creando una suggestiva rifrazione visiva che conferisce un aspetto onirico e lacerante al tragico epilogo. E tutto può essere riconducibile a un sogno/ricordo ossessivo che tormenta Rigoletto a partire dal preludio quando, in primo piano sulla scena vuota, si veste da buffone tappandosi le orecchie per non sentire le note della sua storia.
Roberto Frontali è un eccellente Rigoletto. La voce è morbida, piena, pastosa, “verdiana“ per l’attento fraseggio, il legato, la capacità di sfumare cantabili e declamato con gusto e sobrietà. Il suo Rigoletto si discosta da modelli deteriori “di tradizione“ che ne esasperano l’aspetto grottesco e istrionico a favore di una gravitas che ne accentua il ripiegamento interiore e la sofferenza composta e trattenuta. La punta di un iceberg di una personalità contorta e sofferta, caratterizzata da gelosia e non esente da cattiveria e crudeltà. Il buffone dall’impossibile riscatto è l’ateo senza speranza, nessuna catarsi dopo la morte di Gilda, solo il nulla.
Inva Mula, oltre a una bella voce dai centri suggestivi, ha agilità e morbidezza che le consentono di risolvere agevolmente i passaggi dalla coloratura al canto drammatico propri di Gilda. La sua Gilda non è vergine algida e angelicata quanto una giovane donna appassionata, animata da un forte sentimento che giustifica l’assurdo sacrificio d’amore. “Caro nome” è cantato con dolce lentezza come per trattenere la sensazione del primo amore, i trilli sono languidi ed espressivi in un canto spontaneo che sgorga dal cuore lontano da aridi virtuosismi da orologio a cucù.
Roberto Saccà è un Duca libertino, volubile e protervo, disinvolto a livello scenico, un po’ meno convincente dal punto di vista vocale. La voce è piuttosto scura e fraseggia con gusto, ma l’insufficiente slancio melodico e un’emissione forzata limitano dolcezza, sensualità e fatua leggerezza caratteristici della parte.
Imponenza fisica e forza vocale caratterizzano lo Sparafucile di Riccardo Zanellato, rude e inquietante.
Inadeguata la Maddalena di Rossana Rinaldi, dalla voce così sguaiata e imprecisa da compromettere la riuscita del quartetto e della scena della tempesta.
Andrea Patucelli non ha sufficiente peso specifico per Monterone e la maledizione -così nodale nell’economia dell’opera - perde in potenza espressiva. Di livello discreto Antonio Feltracco (Borsa) e Roberto Accurso (Marullo). Generica la Giovanna di Sandra Pacheco Quinterno.
Un Rigoletto della migliore tradizione come la direzione di Renato Palumbo, teatrale e sanguigna, in cui si respira aria padana. Il direttore rende la capacità espressiva della musica e il suo effetto teatrale con giusto equilibrio sottolineando i diversi colori dell’impasto sonoro senza ingigantire i momenti “da lessico popolare”. Buona la prova dell’orchestra e in particolare del coro, straordinariamente affiatato, diretto da Claudio Marino Moretti.
Calorosi applausi per tutti con evidenti apprezzamenti a Frontali trionfatore della serata.
Visto a Torino, Teatro Regio, il 2/02/08
Ilaria Bellini
Visto il
al
Regio
di Torino
(TO)