Lirica
RIGOLETTO

UN RIGOLETTO DI GIOVANI

UN RIGOLETTO DI GIOVANI

In una sorta di mini stagione dedicata alle opere di repertorio all’interno di un cartellone rivolto anche a titoli  meno frequentati , il  Regio ripropone l’allestimento di Rigoletto vincitore del concorso “la creatività all’opera” andato in scena l’anno scorso . Il Regio è un teatro particolarmente “virtuoso” che, con una politica lungimirante, sta creando,con budget limitati, delle produzioni di buon livello da poter riproporre durante la stagione, dando così l’opportunità a giovani talenti di crescere.

Il regista Fabio Banfo, curatore anche del light design, adotta un’impostazione tradizionale senza però voler sottolineare una datazione precisa né ricorrere a un’attualizzazione, per raccontare una storia di portata universale. Sulle note dell’ouverture vediamo, in una sorta di antefatto, una giovane ragazza che vorrebbe fuggire dalla corte, ma inevitabilmente ricade fra le spire del duca sotto gli occhi di cortigiani violenti che accentuano la situazione claustrofobica e senza scampo. Prefigurazione del destino di Gilda oppure scena di vita quotidiana a palazzo.
Lo sfarzo della corte viene suggerito dai  pannelli argentei sbalzati e bruniti dai raffinati disegni floreali e geometrici che si stagliano contro un fondo nero e costituiscono le ante di cinque grandi armadi mobili che sono la cifra dell’efficace impianto scenico creato da Luca Ghirardosi. L’argento brunito evoca ricchezza e al tempo stesso decadenza di una corte che, nell’eccesso, ha perso la propria vitalità e appare chiusa in sé stessa .
Per la sfera privata di Rigoletto gli armadi vengono visti di schiena e ricreano con il calore del legno il sogno di un focolare domestico e fanno da cornice ad un albero bianco e senza foglie dove siede accoccolata Gilda. Nel terzo atto, le strutture lignee poste di profilo suggeriscono tre torrioni  lungo il Mincio, oltre cui s’intravede il profilo di Mantova sullo sfondo, mentre le altre due, unite da lenzuola stese,  abbozzano l’ambientazione per la taverna di Sparafucile arredata con  rustiche casse di legno.

Se l’impianto scenico risulta, oltre che gradevole all’occhio, assolutamente funzionale, la regia alterna buone intuizioni a qualche ingenuità : non male il nastro che il Duca sfila dai capelli di Gilda per poterne aspirare l’odore e poi avvicina gli amanti con le mani che vi s’intrecciano nella cabaletta. Ma le cortigiane che ballano la tarantella sembrano avere sbagliato opera, Gilda appollaiata sull’albero fa un po’ sorridere e Sparafucile intento ad affilare coltelli col grembiule insanguinato ricorda più un macellaio che un sicario.
Rispetto all’anno scorso sono state apportate alcune modifiche che hanno giovato al discorso narrativo: per esempio è stata “corretta “ la scena del rapimento ( la scala non è più portata di qua e di là per la scena ) e alla fine Gilda non viene messa nella cassapanca, ma avvolta in un lenzuolo che rende molto più naturale il finale.
Una nota di merito ai costumi di Valentina Caspani, originali e ricercati nel mescolare con gusto fogge e tessuti rinascimentali a maglierie spesse e intrecciate. L’unica eccezione il Duca, vestito di pelle nera con una camicia bianca aperta sul petto che sottolinea l’insidioso seduttore.

Un buon cast ha contribuito al successo della ripresa.
Su tutti spicca Désirée Rancatore,Gilda di riferimento per la capacità di coniugare virtuosismo vocale a sensibilità  espressiva e continuiamo ad apprezzare le colorature duttili , la linea di canto raffinata e un registro centrale che ha acquisito col tempo maggior corpo e sfumature; l’interprete ci svela con grande immediatezza le sfaccettature del personaggio e la sua evoluzione drammatica e psicologica .
Giovanni Meoni ha morbida voce baritonale e la capacità già matura di modularla per ottenere quella diversità d’accento propria del baritono verdiano; il suo Rigoletto è intenso, ma sempre sorvegliato e privilegia il ritratto del padre e dell’uomo dolente a quello del buffone .
Il promettente Piero Pretti canta bente e risolve con gusto tutte le insidie del ruolo del Duca: il personaggio vorrebbe maggiore squillo e sfrontatezza, ma non dispiace un Duca più innamorato del solito , come nella lirica e sommessa “Ella mi fu rapita” , dalle indubbie doti espressive.
Lo Sparafucile di Alessandro Guerzoni fraseggia bene, ma la voce non è abbastanza inquietante.
Sensuale e avvenente la Maddalena di Irini Karaianni, di voce scura, ma con difficoltà di emissione .
Dal fisico imponente e dai buoni mezzi vocali, Ziyan Afteh è un Monterone potente ed espressivo.
Di buon livello Armando Gabba (Marullo), discreto Matthew Pena  (Borsa). Completano il cast Maria di Mauro (Giovanna), Davide Motta Fré  (il conte di Ceprano), Ivana Cravero (la contessa di Ceprano), Franco Rizzo (un usciere) e Pierina Trivero (un paggio).

In una produzione giovane, il direttore non fa eccezione e ritroviamo sul podio il talentuoso Daniele Rustioni. Se all’inizio stenta a trovare la giusta tinta drammatica e si perde un po’ nell’indugio, con il progredire della vicenda la direzione acquista in tensione e grande risalto viene dato agli strumenti solisti in contrappunto alle voci. Puntuale come sempre la prova del coro preparato da Claudio Fenoglio , premiato da un applauso del pubblico dopo un “Zitti zitti”  sorvegliatissimo dal notevole crescendo drammatico  .

Teatro pieno e calorosissimi applausi , anche per il repertorio “low cost”.

Visto il
al Regio di Torino (TO)