Siamo nella Milano del 1842, in una sala interna del Teatro alla Scala si prova il "Nabucodonosor", terza opera di un nuovo compositore della Bassa Padana - tale Giuseppe Verdi - che ha favorevolmente impressionato con il suo primo lavoro, "Oberto conte di San Bonifacio", ma un po' deluso con il secondo, "Il finto Stanislao". La Giovannina Bellinzaghi, la seconda donna della compagnia scritturata dall'impresario Merelli, prova di malavoglia col maestro sostituto la preghiera di Fenena. Non è convinta della sua parte, né della bontà dell'opera, e non nasconde certo il suo fastidio. Le fanno di contorno con gli attrezzisti del teatro, l'impresario Merelli, e la sua amante Giuseppina Strepponi, che impersonerà Abigaille. Ma il Verdi che s'aggira muto sulla scena, senza proferire parola, non è il trentenne vedovo di Margherita Barezzi, che ha perduto da poco anche i due unici figli. E' un Verdi ottantenne, silenzioso, un leone turbato dall'avanzare dell'età ma ancora dallo sguardo vivido, disincantato dal mondo che lo circonda. S'apre così l'ultima creazione di Lorenzo Ferrero, che il soggetto - l'intreccio, come si diceva una volta - se l'è costruito da sé, affidando poi la verseggiatura a Dario Olivieri. Un lavoro che gli è stato commissionato per il 150° dell'Unità d'Italia dal Teatro Comunale di Bologna ma andato in scena dianzi, come prima assoluta, al Comunale Pavarotti di Modena.
Qui da noi, nella prima metà dell'Ottocento, il melodramma è stato uno dei collanti del processo risorgimentale (chi non ricorda il celebre acrostico Viva V.E.R.D.I. ?), e quindi il richiamarsi e l'omaggiare tanto glorioso passato pare quanto mai pertinente ed adatto all'occasione celebrativa dei centocinquant'anni della Patria riunita. Ma l'umore che pervade il "Risorgimento!" di Ferrero (il punto esclamativo è voluto, vuole suggerire uno slancio entusiastico verso l'avvenire) non è solo quello delle ragioni musicali. Sì, è vero che quando si tratta di scegliere tra l'arte consolidata di un Pacini o quella del giovane Verdi, la Giuseppina Strepponi propende d'istinto verso quest'ultimo, che l'attrae per la sua irruente modernità. L'umore che sentiamo scorrere nelle parole dei personaggi è anche politico, dietro si intravedono i fremiti rivoluzionari che agitano la Milano - ma, va da sé, anche l'Italia tutta - degli Anni Trenta-Quaranta, gi stessi rivelati dalle schermaglie tra il Maestro sostituto - un mazziniano di sicuro, forse un carbonaro - e il Conte di Belgiojoso, amico del Merelli: il primo a gridare "Solo il popolo è sovrano!", l'altro a ribattere "Il sovrano è Carlo Alberto!". Ancora, la bruciante diatriba tra aspirazioni repubblicane e moderazione monarchica che arroventata gli animi di allora.
E' il Verdi del 1892, già svogliato Senatore del Regno - parte recitata, non cantata - che esprime in chiusura disillusioni e molti dubbi verso un'Italia finalmente riunita, ma ancora alla ricerca d'una sua identità. Pensieri tornati attuali ai giorni nostri, quando certe incomprensioni, e certe spinte separatiste fanno riandare al pensiero alla celebre frase «Abbiamo fatta l'Italia, ora bisogna fare gli Italiani», variamente attribuita a Cavour oppure a D'Azeglio.
Il libretto di Dario Olivieri a mio avviso trasporta sulla pagina solo una parte dell'idea iniziale, che poteva assumere ben altro spessore drammatico; e si ha l'impressione che con più ricco materiale di base il notevole talento teatrale di Ferrero avrebbe avuto ali più grandi per volare. Il risultato comunque è gradevole, nella sua sapiente amalgama di reminescenze testuali - le reiterate citazioni di pagine del "Nabucco" - ed invenzioni musicali nuove, nel sempre gradevole e accattivante stile contaminatorio del compositore torinese.
La scenografia di Tiziano Santi - una specie di sala prove piena di pianoforti verticali candidi, con dietro le video proiezioni di Francesco Frongia - funziona a dovere, così come la sciolta regia di Giorgio Gallione. Pertinente anche la concertazione di Michele Mariotti, a capo dell'Orchestra del Comunale di Bologna. I cantanti svolgevano con partecipazione il compito affidato, che prevedeva più abilità recitativa che impegno lirico: ed erano Alessandro Spina (il Maestro), Annunziata Vestri (la Bellinzaghi), Alessandro Luongo (Merelli), Valentina Corradetti (la Strepponi), Leonardo Cortellazzi (il conte Belgiojoso). Le poche battute finali destinate al Verdi anziano erano affidate all'attore Umberto Bortolani.
La seconda parte della matinée era riservata ad una ripresentazione de "Il prigioniero" di Luigi Dallapiccola: un accostamento determinato da criterio di scelta forse intuibile (il comune anelito alla liberta, verrebbe da pensare), ma stilisticamente assai improponibile. Intanto per la immensa valenza emotiva che separa il piacevole 'divertissement' patriottico-musicale di Ferrero dall'intensissimo capolavoro del musicista istriano, ideato nel pieno della bufera della Seconda Guerra Mondiale, in un clima di indicibile angoscia morale e fisica che lo fa portatore di un'altissima carica etica e morale. Ma soprattutto, la scelta mi pare inopportuna anche per il gap siderale - parlando in termini puramente artistici - tra l'uno e l'altro lavoro. Eppure il pubblico, vellicato prima dalla esteriore piacevolezza di "Risorgimento!", per fortuna non si è smarrito nella dirompente, eversiva modernità de "Il prigioniero". Pur trovandosi di fronte la severa serialità della dodecafonica partitura di Dallapiccola, perfetta nell'accompagnare i maceranti tormenti del protagonista, ne ha avvertito subito la superiore qualità e ha saputo tributare calorosi applausi agli interpreti. Eccellente anche qui la guida registica di Gallione, bellissimo il taglio scenografico di Santi, appropriati i costumi di Claudia Pernigotti e le luci di Andrea Oliva; qualche perplessità avrei invece sulla pleonastica presenza in scena della pur bravissima ballerina Francesca Zaccaria.
Concertava con puntualità ancora Mariotti, nel giusto mix tra testa e cuore, ottenendo grandi suggestioni dagli abili strumentisti bolognesi. Funzionava invece a livelli differenti il cast: bene il basso-baritono canadese Chad Armstrong nel ruolo del titolo, come pure Valentina Corradetti nella figura della Madre; in palesi difficoltà ahimé il tenore georgiano Armaz Darashvili nelle parti di Carceriere e Grande Inquisitore.
Dopo i primi due appuntamenti modenesi, le altre recite sono previste al Comunale di Bologna nei giorni 5/7/10/12/14/16 aprile.
Lirica
RISORGIMENTO! - IL PRIGIONIERO
Il Risorgimento del Prigioniero
Visto il
al
Comunale Luciano Pavarotti
di Modena
(MO)